Tre lampade di pace

papa atomica 04729d211862a54d999d2bfb6a8e5c31Da domenica scorsa la nuova fiamma di una lampada a stelo, recante la parola “Pax”, arde nelle città martiri dell’atomica. Ad accenderla è stato Papa Francesco, in momenti diversi di un’intensa giornata vissuta dove la follia nucleare si è manifestata nella sua tremenda furia distruttrice, facendo sprofondare l’umanità in

un abisso di dolore. Prima a Nagasaki, in due differenti luoghi, poi a Hiroshima, il Pontefice ha lasciato in dono tre lampade su cui era impresso in latino un auspicio di pace per il mondo intero.

Grazie a un tour de force con tre trasferimenti aerei in un sol giorno, di buon mattino da Tokyo Francesco ha raggiunto la città sull’isola di Kyushu dove meglio che altrove in Giappone il cristianesimo ha attecchito ed è sopravvissuto alle persecuzioni, tanto da farle guadagnare il soprannome di “Piccola Roma”.

In automobile Francesco si è diretto all’Atomic Bomb Hypocenter Park di Nagasaki, costruito proprio dove il 9 agosto 1945 venne sganciato l’ordigno al plutonio che rase al suolo un terzo dell’abitato. Un pannello indica in 73.884 le vittime rimaste uccise sul colpo, cui vanno aggiunti quanti morirono per effetto delle radiazioni; almeno 75.000 i feriti su una popolazione stimata di 240.000 abitanti, 120.000 dei quali, la metà esatta, rimasti senza casa. Poco distante si trovano i resti della cattedrale di Urakami, la più grande chiesa dell’Asia orientale fino a che non è stata completamente distrutta durante il bombardamento. Nel quartiere cristiano allora vivevano oltre diecimila fedeli, ma ben ottomila perirono in quel tragico giorno.

Sotto una fitta pioggia, tra nebbia, vento e tuoni, nel parco il Papa è stato accolto dal governatore e dal sindaco di Nagasaki. Omaggiato con una corona di fiori bianchi da due vittime dell’olocausto nucleare, l’ha deposta ai piedi del monumento, e con una candela ha acceso la lampada della pace. Quindi, visibilmente commosso, ha sostato in silenziosa preghiera, prima di lanciare il suo messaggio per un mondo senza più armi nucleari. Da questo luogo di memoria — come ha detto lui stesso — che impressiona e non può lasciare indifferenti, Francesco ha levato alta la voce per denunciare gli orrori provocati dalle armi di distruzione di massa, con un vigoroso appello per lo smantellamento degli arsenali nucleari. E con queste parole ha fatto riecheggiare un analogo monito del luglio scorso, da parte dei vescovi giapponesi, da tempo anche promotori dell’iniziativa di dieci giorni di preghiera per la pace che qui si rinnova ogni anno ad agosto.

Al termine del suo intervento, per scuotere le coscienze cieche e sorde di chi si mostra indifferente alle sofferenze di milioni di persone, il Papa ha recitato la preghiera attribuita a san Francesco d’Assisi: «Oh Signore fa’ di me uno strumento della tua pace!».

La stessa richiesta che viene da un cartellone all’uscita dal museo: «Dopo aver visto il museo della bomba atomica, per favore — recita la scritta in inglese e in giapponese — rendete onore alla memoria di quanti hanno perso la vita nel bombardamento e fate una preghiera per la pace».

Un canto ha concluso il toccante momento, al termine del quale il Pontefice ha salutato il figlio di Joe O’Donnell, il fotografo autore dell’immagine simbolo dell’esplosione atomica a Nagasaki: ritrae un ragazzo con in spalla il fratellino morto, che attende il turno per far cremare il corpicino senza vita. L’incontro si è svolto accanto a una gigantografia dello scatto, lo stesso che nel Natale 2017 Francesco fece riprodurre accompagnandola con un commento eloquente: «il frutto della guerra».

Anche nel successivo appuntamento alla collina dei martiri il Papa ha acceso una lampada della pace, ripetendo il gesto nel pomeriggio a Hiroshima. Nella città dei sette fiumi — che sorge nella parte occidentale di Honshu, la più grande isola del Giappone — il 6 agosto 1945 il mondo vide per la prima volta gli effetti devastanti del fungo atomico che oscurò il cielo e fece tremare la terra, mentre suonavano le sirene degli allarmi aerei. La bomba all’uranio sganciata dal b29 Enola Gay con il suo carico di distruzione uccise all’istante ottantamila persone. Entro la fine dello stesso anno le vittime arrivarono a centoquarantamila.

Il Papa è giunto quando era ormai buio nel Parco del memoriale della pace progettato da Kenzo Tange. Francesco è venuto non solo per i cattolici, che qui sono poco più di ventimila; ed è venuto a inchinarsi davanti alla forza e alla dignità dei sopravvissuti, gli Hibakusha che hanno sopportato nel corpo per molti anni le sofferenze più acute. Momenti di commozione durante le strette di mano che si sono scambiati, salutandosi rispettosamente. Pellegrino di pace per debito di riconoscenza verso questa gente, Francesco è venuto a Hiroshima sulle orme di Giovanni Paolo II, ma anche di padre Arrupe, il generale dei gesuiti che come medico si mise al servizio delle vittime dell’atomica.

Emblema del parco è la Genbaku Dome (cupola della bomba atomica), lugubre sagoma dei resti di quello che fu il palazzo delle esposizioni. Situato sulla verticale della traiettoria del micidiale ordigno nucleare, l’edificio fu distrutto solo parzialmente e la sua cupola continua a svettare contorta e annerita a perpetua memoria di quel lampo accecante che seminò morte e terrore.

Posizionato in modo da incorniciare perfettamente i resti contorti della cupola, il Memorial Cenotaph a forma di arco — per riprendere la simbologia della più antica religione del Paese, lo shintoismo — custodisce i nomi dei morti, almeno di quelli che si conoscono. Una fiamma arde giorno e notte a pochi metri dal centro dell’esplosione: il braciere è posto su un basamento a forma di mani umane. Il fuoco resterà acceso fino al giorno in cui l’umanità non avrà definitivamente rinunciato all’uso bellico dell’energia atomica.

Alla presenza di oltre un migliaio di persone, tra cui una ventina di leader di varie religioni e altrettanti sopravvissuti, ormai quasi ultraottantenni, il Pontefice è stato accolto dal prefetto e dal sindaco di Hiroshima. «Sono venuto come pellegrino di pace, per piangere in solidarietà con tutti coloro che hanno subito ferite e morte in quel terribile giorno della storia di questa terra. Prego che il Dio della vita converta i cuori alla pace, alla riconciliazione e all’amore fraterno», ha scritto in inglese sul libro d’onore. Quindi ha deposto un mazzo di fiori davanti al cenotafio, accendendo anche qui la lampada della pace da lui recata in dono.

Un momento di preghiera silenziosa è stato infine introdotto dal suono di una campana. In Giappone viene chiamato mokutò ed è una sorta di minuto di riflessione e meditazione in cui tutti — credenti delle varie fedi e non credenti — si possono ritrovare. E quel silenzio assordante è stato interrotto dal messaggio del Papa che ha definito criminale l’uso dell’energia atomica per fini di guerra e immorale l’uso e anche il «possesso» — ha detto con una significativa aggiunta al testo preparato — delle armi nucleari. Una sottolineatura rilanciata dai media di tutto il mondo, a cominciare da quelli giapponesi, come i quotidiani «Japan Times», l’«Asahi Shinbun», il più diffuso nel Paese, e il «Mainichi».

La testimonianza di due vittime ha preceduto le sue parole. La prima è stata pronunciata da una donna di ottantotto anni che al termine ha pianto, della seconda è stata data lettura per l’indisponibilità all’ultimo momento dell’altra persona, ottantaquattrenne, che sarebbe dovuta intervenire. E ascoltando entrambi i racconti sembrava di rileggere le pagine di Children of Hiroshima, “Genbaku no ko”, in cui nel 1951 il professore universitario Arata Osada raccolse le prime testimonianze di studenti di scuole elementari, medie, superiori, e degli atenei, che vissero personalmente il giorno della bomba atomica. Una bella lezione anche per i 250 studenti di una scuola superiore di Morioka, ammessi eccezionalmente all’avvenimento perché avevano programmato la gita a Hiroshima da almeno due anni.

dal nostro inviato
Gianluca Biccini

© Osservatore Romano  25.11.2019