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Gerusalemme Là ove tutto ebbe inizio - ultime tappe della Visita del Cardinale Sandri in Terra Santa

GERUSALEMME SANDRICon la santa Messa presso la Basilica del Getsemani è iniziata la giornata di venerdì 20 ottobre, penultimo del programma, per il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, accompagnato dal Rev.mo Mons. Marco Formica, Incaricato d'Affari della Delegazione Apostolica a Gerusalemme. Accolto dalla Comunità francescana, con la quale il Prefetto ha concelebrato l'Eucarestia, sempre offerta per le Chiese Orientali e tutte le popolazioni sofferenti del Vicino e Medio Oriente, oltre che dell'Europa dell'Est, aree seguite - tra le altre - dal lavoro quotidiano del Dicastero.
Dopo la condivisione fraterna della colazione con i frati della comunità, Sua Eminenza ha visitato il cortile con gli ulivi "storici", risalenti al Medio Evo ma sui quali era stata effettuata anni orsono una ricerca del CNR Italia, che aveva evidenziato il medesimo DNA e quindi la loro provenienza da un'unica pianta precedente, che probabilmente era stata custodita con cura e attenzione e trapiantata dai credenti di quell'epoca affinchè non se ne perdessero le tracce, sempre secondo le spiegazioni fornite. Nel giardino è rigoglioso l'ulivo piantato dal Beato Paolo VI il 4 gennaio del 1964, e già produce olive quello piantato da Papa Francesco nel 2014, benchè ancora un semplice arbusto.
Il Cardinale Sandri si è recato poi presso la Chiesa concattedrale della Diocesi Patriarcale di Gerusalemme dei Latini, intitolata a San Giacomo, ove, accolto dall'Arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico, da S.E. Mons. Marcuzzo, e dagli altri Vicari Patriarcali, ha avuto un incontro con i Religiosi e le Religiose operanti a Gerusalemme e in Terra Santa. Iniziato con la preghiera dell'Ora Media, in italiano, arabo, e francese, ha previsto poi una parola di saluto di Mons. Pizzaballa, il quale ha messo in luce la presenza preziosa dei consacrati e delle consacrate, spesso davvero un'avanguardia della Chiesa locale in tante situazioni, un intervento di accoglienza da parte di un monaco trappista dell'Abbazia di Latroun e l'introduzione della Responsabile del coordinamento delle Religiose di Terra Santa. Ella ha ha indicato in 75 le Congregazioni Religiose presenti e operanti, con 219 comunità e 1076 consacrate, senza dimenticare i 15 monasteri contemplativi, vere e proprie "scale" per mezzo delle quali Dio scende in mezzo agli uomini di questo tempo, ed essi possono salire nella contemplazione e nella lode di Gesù, Verbo incarnato. Il Cardinale ha poi rivolto il suo discorso, con una introduzione a braccio e poi con quanto era stato preparato (cfr. allegati). Al termine, dopo alcune domande e chiarimenti, il Cardinale ha impartito la benedizione a nome del Santo Padre Francesco, e si è unito ai Religiosi e Religiose nel cortile per un momento di condivisione fraterna e festosa.
A seguire, nel salone del Patriarcato, il Cardinale ha invece incontrato i sacerdoti del Patriarcato operanti in Israele e Palestina, ricevendo una parola di benvenuto da parte di Mons. Pizzaballa, il quale ha illustrato il cammino condiviso con i sacerdoti e grazie alla loro disponibilità e collaborazione e svolto nel primo anno di incarico come Amministratore Apostolico della Diocesi Patriarcale. Il Cardinale ha poi preso la parola (allegato in italiano e inglese) e ha risposto ad alcune domande, in un clima sereno di ascolto.
Al termine, il pranzo, a cui si sono uniti anche il Patriarca emerito S.B. Sabbah, insieme ai già presenti Vicari Vescovi e sacerdoti.
Nel pomeriggio il Cardinale si è recato a Beit Jamal, a circa 30 km da Gerusalemme, nei pressi della città di Bet Shemes, ove nel mese di settembre si è verificato un grave episodio di vandalismo, che ha recato danno alle statue, agli arredi liturgici e alle vetrate della Chiesa di Santo Stefano, affidata ai padri Salesiani. Il luogo, la cui tradizione si rifà alla figura di Gamaliele e ove ormai l'archeologia riconosce con un alto grado di probabilità la sepoltura del protomartire Stefano, è diventato nel tempo un luogo caratteristico dell'amicizia ebraico-cristiana, dal momento che molti vi si recano a trascorrere qualche momento del tempo libero, e hanno occasione di ascoltare i riferimenti alla vicende di Gamaliele e Stefano, oltre che poter entrare in un dialogo semplice e spontaneo a partire dalle domande che ciascuno reca dentro il proprio cuore. La violazione di un luogo così simbolico rappresenta quindi una ferita ancora più ampia del già grave oltraggio agli spazi consacrati alla preghiera cristiana. Il Cardinale Sandri, accompagnato da Mons. Marco Formica, Incaricato d'Affari della Nunziatura in Israele, accolto dall'Amministratore Apostolico del Patriarcato latino Mons. Pizzaballa, dall'Ispettore per la provincia del Medio Oriente dei Salesiani, Rev.do Munir Al-Ra'i, dai religiosi salesiani della casa, e da altre religiosi, religiose e persone anche non cristiane, ha fatto il suo ingresso nella chiesa ancora come fu lasciata dai vandali, si è inginocchiato in preghiera silenziosa, prima di visitare gli spazi danneggiati. A seguire, è stato accompagnato in cripta ove trovano la sepoltura il servo di Dio Simaan Azar Srugi e un sacerdote salesiano che fu ucciso alcuni anni fa, sostandovi in preghiera, per poi visitare gli spazi esterni. Nel frattempo, la Chiesa è stata ripulita e predisposta per la liturgia di riparazione, che si è svolta attraverso la preghiera del Cardinale Prefetto, nel frattempo rivestito dei paramenti liturgici e rientrato processionalmente, l'aspersione e l'incensazione dell'altare, della croce, della Statua della Vergine e del resto dello spazio sacro. A seguire, è stato pregato il Vespero votivo di santo Stefano, durante il quale il Cardinale Sandri ha tenuto l'omelia (cfr. allegato), offrendo parole di perdono come imitatori di Stefano durante il martirio, e ringraziando tra l'altro tutti coloro che a diverso livello si sono fatti presenti attraverso visite (anche di non cristiani) e messaggi di solidarietà, tra i quali sono stati ricordati quello dell'Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa e quello del Governo Israeliano, incentrato sul rispetto della libertà religiosa come uno dei fondamenti della convivenza democratica nel Paese. Il Cardinale Sandri, al termine della celebrazione, a nome del Dicastero ha offerto all'Ispettore Regionale dei Salesiani un contributo che andrà a coprire parte delle spese si riparazione della Chiesa, specie delle vetrate su un lato distrutte nei volti e nei particolari di alcune immagine, tra i quali quelle della Vergine Maria e della Santa Famiglia.
Dopo il ritorno a Gerusalemme, il Cardinale ha fatto visita all'Istituto Notre Dame, di proprietà della Santa Sede ed adibito all'accoglienza dei pellegrini, e si è fermato a cena con la comunità dei Legionari di Cristo cui è stato affidato.
Nelle primissime ore della mattina di sabato 21, il Cardinale presiederà la Celebrazione Eucaristica nell'Edicola del Santo Sepolcro, recentemente restaurata anche con il contributo della Santa Sede, prima di dirigersi all'aereoporto di Tel Aviv per far rientro a Roma.
Si concluderà così uno dei viaggi più importanti dell'anno per il Cardinale Prefetto (dopo quelli di Australia a maggio e Ucraina a luglio), in occasione degli ottocento anni della presenza francescana in Terra Santa, del centenario della Congregazione e del Pontificio Istituto Orientale, e per portare una parola di incoraggiamento e vicinanza da parte della Santa Sede ad alcune tra le realtà più significative della presenza cattolica in Terra Santa, e in special modo a quelle che il Dicastero sta accompagnando in questi anni con particolare attenzione e vicinanza fraterna, quali la Diocesi Patriarcale di Gerusalemme dei Latini e l'Arcieparchia di Akka dei greco-melkiti.

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Meeting of Cardinal Leonardo Sandri, Prefect of the Congregation for the Eastern Churches, with priests of the Patriarchal Diocese of Jerusalem - Office of the Patriarchate, Friday October 20, 2017 AD

Your Excellency, dear Archbishop Pierbattista,
Your Excellencies, Bishop Marcuzzo, Bishop Batish,
Right Reverend Msgr. Marco Formica, Chargee d’Affaires a.i. of the Apostolic Delegation in Jerusalem,
Reverend Vicars,
Dear Brothers in the Priesthood!
1. I am delighted to be with you today in order to share this moment of mutual listening and reflection. This morning I celebrated the Holy Eucharist at the Basilica of Gethsemane, and I wish to assure you that I carried each one of you in my intentions, with your particular priestly journey and the community and ministry entrusted to you.
I was prompted by the recollection that in that very place Pope Francis had met with you on the afternoon of Monday, May 26, 2014, an occasion at which I, too, was present. Even more significantly, I was moved by the thought of the events which took place there as the Gospel relates. The property of Gethsemane, before being the place of betrayal, is, as has been noted, the place of friendship and deepest confidence between Jesus and his disciples. It is precisely for this reason that Judas was sure of finding it a suitable place to deliver up the Master to be arrested by the Temple guards. For us priests, that episode remains a subject to be contemplated in silence and prayer, listening again and again to the words of Jesus: “You did not choose me, but I chose you and appointed you that you should go and bear fruit and that your fruit should abide… I have called you friends, for all that I have heard from my Father I have made known to you.” (Jn. 15:16, 15). Along with the beauty of this reality, there is present the mystery of freedom which sometimes turns to evil. It can reach the point of even wounding or rejecting the Master, by doing what is evil in the midst of the People of God. As priests in the Holy Places, I ask you to guard with special care your duty to “remain close to the Lord, persevering in trials with Him”. Intercede for those who, living in the world or even among yourselves, have damaged their priesthood and the People of God in various ways. As I said to the seminarians of Bet Jala a few days ago, my episcopal motto is "Ille Fidelis - He remains faithful", taken from the Letter of St. Paul to Timothy; it reminds me each day, as a program of life, to remain grafted upon the fidelity of God: my fidelity depends upon that of Christ, as a branch of the One Vine. If we remain in Him, we shall bear fruit.
2. The priest’s heart is made fertile by the Holy Spirit through the anointing, and is called to bear fruit. This "generative" dimension is not the result, primarily, of our efforts or our pastoral initiative. Indeed, even a burden or trial, endured along with one’s diocesan or parochial community or, sometimes, because of it, can be a fruitful experience, despite being an apparently "dark night". With time, such sufferings bring the fruit of eternal life, provided we do not lose the light and power of the Gospel. This is the fruit that we are called to give, while the rest is nothing, and passes away with this world.
Here, in this particular horizon of the "joy of the Gospel" – evangelii gaudium, to which Pope Francis continues to call us after his Apostolic Exhortation of the same name – I would like to place my reflection on being a priest in the Middle East, and so also in the Latin Patriarchate. Let me begin from two extreme cases, two priests from another country of the Near East who suffered kidnapping and from whom I was able to gather personal testimonies during their visit to Rome after being freed. I was struck to hear how their priesthood had released all its luminosity precisely there, in the darkness of a cell or the place of imprisonment. Their priesthood shone primarily in its dimension of faith. If, on the other hand, any one of us does not remain a believer and a disciple, he becomes a mere functionary of the sacred or a social worker, emptied, however, of Christian witness. In their places of confinement, those two priests maintained their relationship with God through prayer and the daily offering of themselves, even though for the whole of their captivity they were denied the opportunity of celebrating the Eucharist.
Each of us, when we celebrate the Mass, repeats the words of Institution “This is my body, this is my blood” - perhaps even, for pastoral reasons, twice in a day. Yet, is it not the case that sometimes there can be a gap between what we celebrate and what we do – even if that, too, is beautiful – in our parishes, with and for our people? How important, then, it is, in the evening, tired from the long day, that you go back over the events that have been lived, rereading the narrative in light of and united to the offering of Jesus celebrated in the Eucharist. During their time of imprisonment, those priests rediscovered the value of intercession in two senses: on the one hand, they realized the truth for them of what the Acts of the Apostles say of the first Christian community: that it never ceased praying for the imprisoned Peter. On the other hand, not being able to help others or even reach them physically, the two priests entrusted their earnest solicitude, especially for the poor and the suffering, to the Angel of the Lord whom they invoked. All this confirms the truth of the Holy Scriptures, for example, when St. Paul says, “but the Word of God is not bound!”
3. Of course, as Prefect of the Congregation, I am familiar with other situations, also in the Near and Middle East, among priests, or between priests and their Bishop, in which misunderstandings have arisen, if not actual divisions or open conflicts. There have been, as must be expected, human errors, in the moral, administrative or relational aspects of life. Sometimes there can also be a failure generated simply by the situations in which we find ourselves, which are often objectively greater than our own strength. This should put us on our guard, making us realize both our human fragility, even as consecrated persons, and also the presence of the Tempter. He stands ready to creep in, seeking to soil the face and the dress of the Church, the Bride of Christ, and trying to tear into many pieces the tunic of the Savior, by fomenting divisions and conflicts. You can imagine how satisfying it can be, from the perspective of the Apostolic See or the Apostolic Nunciatures, to follow all the good growth thanks to the work of so many fine bishops and priests, including yourselves, but how hard it can be to try to accompany those walking in shadows, lest it becomes a very thick darkness.
Let us all help each other to walk as the People of God, seeking, above all, communion and unity. These qualities are firstly a gift of God, to be unceasingly invoked, but also a responsibility to be assumed in our daily lives. Maybe some activity less is to be preferred, but lived in the spirit of communion. In a Middle East that is divided between interests and opposing blocs at the regional level, hostage to international interests that seem at times to work rather for fragmentation than for stability, we priests must be "merciful balm" - according to an expression used during recent Plenary Session of the Congregation. We must be a balm to heal the wounds in our people. If, on the contrary, we were to feed these negative sentiments with our own more or less explicit attitudes, how much greater would be our fault.
I pray and I beg you to help make the Christian communities in the Middle East abodes of communion, oases of peace and refreshment in very difficult situations, which sometimes reach to persecution. I assure you that the Holy See, in all its offices and at every level of influence, will continue to work to see that the rights of all are respected, especially those of the weakest, placing special emphasis on the right – not only of worship – but of religious freedom.
4. The final word cannot but be about Mary, the Mother of all of us priests. Of her, the Gospels leave us two images, among many others that could be chosen: standing by the Cross of her Son and, earlier, keeping everything in her heart. We ask her to pray for us, that we, too, may stand by the crosses which our communities and our faithful are enduring. And we ask for the grace to hold and to ponder in our hearts the many works of God, and to leave aside all that poisons our lives or our relationships. In this way we will be sowers of good and builders of the future, true leaven of the Gospel in the lands that have seen the presence of the Son of God.
Now I am at your disposal to have an exchange with you. Only first, let me emphasize the esteem, love and encouragement of Pope Francis and of the Congregation for the path you have set out upon, together with the Apostolic Administrator Bishop Pierbattista. Always keep in mind the words, which the Pope pronounced during the Audience for ROACO of 2016, inspired by the restoration of a Basilica of the Nativity in Bethlehem:
“I have been told that in the course of restoration work in Bethlehem, on one of the walls of the nave a seventh angel in mosaic has come to light, forming with the other six a sort of procession towards the place commemorating the mystery of the birth of the Word made flesh. This can lead us to reflect on how the face of our ecclesial communities can also be covered by ‘incrustations’ as a result of various problems and sins. Yet your work must unfailingly be guided by the certainty that, beneath material and moral incrustations, and the tears and bloodshed caused by war, violence and persecution, beneath this apparently impenetrable cover there is a radiant face like that of the angel in the mosaic. All of you, with your projects and your activities, are part of a ‘restoration’ that will enable the face of the Church to reflect visibly the light of Christ the Word Incarnate. He is our peace, and he is knocking at the doors of our heart.”
I know all your precious work in all the pastoral fields: parishes, school, social assistance. You are present in the big center and in the remote villages, always close to the people of God, offering help and support to our beloved brothers and sisters in need.Thanks for all you are doing: the Latin Patriarchate is still a very important presence among the people in Jordan, Israel and Palestine, and this especially trough the presence of good priests and religious women. May God bless you always for what you are and for what you are doing. Thanks!

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Incontro del Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, con i Religiosi e le Religiose di Terra Santa, Gerusalemme, Sede del Patriarcato latino, venerdì 20 ottobre 2017 A.D.

Eccellenza Reverendissima, Mons. Pierbattista Pizzaballa,
Eccellenze Reverendissime, Mons. Marcuzzo e Mons. Fitzgerald,
Reverendissimo Mons. Formica, Incaricato d’Affari della Delegazione Apostolica a Gerusalemme,
Reverendissimi Vicari Patriarcali e Padre Abate dell’Abbazia di Latroun,
Cari fratelli e sorelle nel Signore!
Parole pronunciate a braccio prima del discorso ufficiale:
Sono qui in mezzo a voi con affetto, apprezzamento, quasi una venerazione per la vostra presenza e il vostro operare, sia nei carismi di vita attiva come in quella contemplativa. Il vostro essere e il vostro operare è un segno, quasi un “sacramento” della presenza stessa di Gesù in questa Terra Santa ove Egli è vissuto, ha predicato, ha guarito, è morto ed è il Risorto. Quando guardo a voi, penso sempre che come religiosi voi insieme vivete il carisma di anticipare a noi “secolari” la vita futura, in cui Dio sarà tutto in tutti, secondo quanto afferma la Scrittura. Voi siete luce qui in Terra Santa in molti modi: attraverso gli studi biblici e teologici, che ci consentono di andare ancora più in profondità alla riscoperta della radici della nostra fede, con l’accoglienza dei pellegrini, nella carità verso i poveri e i bisognosi, facendo intuire cosa significa curare, sostenere, pulire l’altro che servo come Cristo sofferente. La carità è anche il primo segno del dialogo ecumenico ed interreligioso: amando come Cristo ha amato, senza misura, e senza chiedere nulla in cambio. Proprio ieri una religiosa che lavora in un ospedale in Israele mi ha raccontato del giorno in cui un importante rabbino è stato ricoverato per affrontare le cure per una grave malattia, e come fosse piuttosto restio a lasciarsi incontrare e a fidarsi delle religiose, sempre attorniato da alcuni suoi discepoli. Poi, piano piano, mentre la malattia però stava peggiorando, ha cambiato la disposizione del cuore, fino a domandare ai suoi vicini di allontanarsi, ed è morto volendo stringere la mano di quella religiosa. Davvero voi siete “istituzionalmente” l’anticipo della vita futura, dono importantissimo per tutta la Chiesa.
1.Ho accolto con gioia l’invito ad essere con voi quest’oggi, riservando un momento dedicato prima di quello con i sacerdoti della Diocesi Patriarcale e vi ringrazio per la presenza e l’ascolto. Voglio scusarmi anzitutto, perchè a fronte di una presenza ricca e variegata da parte vostra, il programma di questi giorni in Israele e Palestina non mi ha consentito di accettare tutti gli inviti giunti da parte di alcuni di voi. In accordo con la Delegazione Apostolica, che saluto nella persona di Mons. Marco Formica, Incaricato d’Affari a.i., sono state individuate alcune tappe che hanno inteso valorizzare - oltre ai frati minori che celebrano gli ottocento anni di presenza in Terra Santa e ai quali ho recato un Messaggio speciale del Papa che li conferma nella loro missione - alcune realtà educative ed assistenziali (Hogar do Ninos Dio, Bethlehem University), di accoglienza per i pellegrini (Monte Carmelo e Beatitudini), di promozione della cultura e storia dei Luoghi Santi, oltre che di studi biblici (scavi di Magdala, Terra Santa Museum, Studium Biblicum Franciscanum). Tra le realtà che operano a Gerusalemme, ricordo anche l’Ecole Biblique dei Padri Domenicani, perchè a Roma ho presenziato all’inaugurazione di una mostra fotografica da loro realizzata che mostrava molte foto di archivio della loro presenza in Terra Santa.
2.Voglio però qui dire grazie a tutti voi per la vostra presenza multiforme, per quello che siete e quello che fate: quando ciascuno di voi vive in fedeltà al carisma del proprio Istituto o Congregazione Religiosa servendo la Terra Santa e non servendosi di essa per altri scopi, voi risplendete come stelle del firmamento nella lunga notte di Paesi e popoli che a volte sembrano non volere la pace e impegnarsi per essa. In questi luoghi si realizza una particolare situazione, quella cioè che analogamente a quanto succede per la Diocesi Patriarcale di Gerusalemme, anche le famiglie religiose latine che vivono e operano in Terra Santa sono sottoposte alla cura della Congregazione per le Chiese Orientali, proprio per promuovere un cammino armonico e fecondo tra le diverse realtà qui presenti. Vorrei ringraziare da un lato e confermare qui il ruolo del Delegato Apostolico come figura di coordinamento e presidenza dei Religiosi di Terra Santa, lavorando d’intesa con l’Assistente Ecclesiastico. Ogni eventuale adattamento degli Statuti, come si è ventilato forse nei mesi scorsi, rimane da concordare con il nostro Dicastero che ne ha la competenza.
3.Celebrando l’Eucarestia questa mattina nella Basilica del Getsemani, ho pensato anche a voi, Religiosi e Religiose di Terra Santa, riascoltando interiormente l’invito rivolto di Gesù ai discepoli: “restate qui e vegliate con me”. E’ vero, lo sappiamo, i discepoli non riuscirono a tenere gli occhi aperti per il sonno, e lasciarono Gesù solo, ma sono certo che la presenza delle vostre Istituzioni e Congregazioni qui a Gerusalemme e in Terra Santa in realtà sia come la risposta fedele e positiva alle parole di Gesù. Siete venuti qui, chi prima chi più di recente, anzitutto per restare presso i luoghi della nostra redenzione, non di rado aprendo case di ritiro o spiritualità, o per vegliare accanto al Signore servendolo nei suoi fratelli più piccoli, giovani, poveri, sofferenti o semplicemente soli e cercatori di senso che incontrate quotidianamente nel vostro servizio. Vi invito, a partire dalla Parola di Dio e dai Luoghi Santi in cui la sentite risuonare, a continuare a conoscere, approfondire e conformarvi al carisma proprio del vostro Istituto, vivendolo nelle situazioni concrete in cui siete chiamati ad operare, come scuole, santuari, parrocchie. La fedeltà profonda e sincera alla vostra professione religiosa, in un contesto a maggioranza non cristiana, diventa il primo strumento di testimonianza a Cristo, ancora di più quando esso vissuto anche con una attenzione particolare alla sobrietà nel modo di vivere e nell’uso dei beni.
4. Per stare in Terra Santa, è necessario fare in modo che per chi viene da fuori di avere una preparazione adeguata: essa può riferirsi al contesto biblico e storico, alla presenza ecumenica ed interreligiosa, alle dinamiche sociali in atto. Per fare questo è requisito indispensabile la conoscenza di almeno una delle lingue locali: ebraico e arabo. E’ un modo di sentirsi a casa. In pari tempo, questo consente di stabilire legami belli e fruttuosi con i cristiani nativi della regione, affiancandoli nelle attività pastorali, ma anche di mostrare alle popolazioni locali il volto universale, misericordioso e accogliente della Chiesa di Cristo.
5. Una parola speciale vorrei dedicare ai Religiosi studenti, che si fermano qui solo per gli studi in preparazione al sacerdozio o alla professione solenne: ricordatevi che questo è un tempo prezioso che rimarrà impresso nel vostro cuore e moltiplicherà le benedizioni del Signore sul ministero che vi sarà affidato nei continenti di provenienza: qui infatti palpita il cuore del mondo intero, perchè tutti qui siamo nati, come recita il Salmo su Gerusalemme: “sono in te tutte le mie sorgenti”.
5. Due ultime considerazioni. La prima: in questi giorni, incontrando qualcuno di voi, ho ricevuto qualche richiesta di aiuto per sostenere qualche particolare iniziativa o progetto. Voi sapete che la Congregazione distribuisce tra tutti i Paesi della “Terra Santa biblica” gli aiuti provenienti da quanto le spetta della Colletta per il Venerdì santo, come voluto dai Sommi Pontefici a partire dalla Lettera Nobis in animo del Beato Paolo VI. Essi vanno in modo ordinario alle Eparchie e diocesi, latine ed orientali, più ad alcune altre realtà che sono state segnalate. Non è molto, se lo pensiamo distribuito tra tanti, ma è comunque un segno di incoraggiamento e sostegno. In alcuni altri casi, gli aiuti magari più consistenti sono passati attraverso la Custodia di Terra Santa: il Dicastero ha chiesto di rigirare ad alcune istituzioni operanti qui parte di quanto gli era dovuto, per sostenere attraverso donazione o concessione di spazi o di terreni, alcuni progetti meritevoli per la pastorale. Ribadisco la disponibilità a verificare tutte le altre richieste che potranno pervenire, sempre, tramite la Delegazione Apostolica, e si verrà incontro per quello che sarà possibile. Debbo però ricordare, d’altro lato, alcune condizioni minime: che i progetti - se si tratta di interventi straordinari - siano ben preparati, secondo standard comuni; che si adotti come prassi abituale la rendicontazione chiara e trasparente, viceversa saranno trattenuti anche i sussidi ordinari già stabiliti; che ci si abitui a interfacciare con l’istituzione preposta come servizio di comunione nella carità, il Segretariato per la Solidarietà. Il desiderio è che si possa fare molto di più, e questo soprattutto per i veri bisognosi e i più poveri, per favorire il mantenimento della presenza cristiana in questi anni andata paurosamente diminuendo. A poco servono cattedrali nel deserto, o istituzioni educative magari prestigiose ma che lasciano fuori i bisognosi meritevoli e dotati, se poi non aiutiamo per esempio una coppia di giovani cristiani a potersi sposare pensando nuclei abitativi a prezzi calmierati, o l’accesso alla formazione di base ad un ragazzo che non potrebbe permettersi altro per le condizioni della sua famiglia. Quanto più lavoreremo in rete, condividendo informazioni e intuizioni pastorali, tanto più grazie allo Spirito faremo fiorire il deserto della speranza nei cuori di tanti nostri fratelli e sorelle.
6. I pellegrini che giungono qui dal mondo intero, possano incontrare il volto di una Chiesa unita, capace di comunione, giovane perchè il cuore palpita sempre per il Suo Signore. Grazie

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Incontro del Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, con i Sacerdoti della Diocesi Patriarcale di Gerusalemme - Sede del Patriarcato, venerdì 20 ottobre 2017 A.D.

Eccellenza Reverendissima, caro Arcivescovo Pierbattista,
Eccellenze, Mons. Marcuzzo, Mons. Batish,
Reverendissimo Mons. Marco Formica, Incaricato d’Affari della Delegazione Apostolica di Gerusalemme,
Reverendissimi Vicari,
Cari confratelli nel Sacerdozio!
1.Sono lieto di trovarmi insieme a voi questa mattina, per condividere un momento di reciproco ascolto e riflessione. Questa mattina ho celebrato l’Eucarestia presso la Basilica del Getsemani, e desidero assicurarvi che ho portato tra le mie intenzioni anche ciascuno di voi, col suo cammino sacerdotale, e le comunità e il ministero che vi è affidato.
L’ho fatto anche ricordando che proprio quello è stato il luogo in cui Papa Francesco vi ha incontrato nel pomeriggio di lunedì 26 maggio 2014, al quale ero presente, ma ancora di più per un motivo legato alle vicende del Vangelo che in quei luoghi si sono svolte. Il podere del Getsemani, prima ancora che il luogo del tradimento, secondo alcune attestazioni è il luogo dell’amicizia e della confidenza più profonda tra Gesù e i suoi discepoli, ed è proprio per questo che Giuda va sul sicuro nel trovare il luogo ove consegnare il Maestro alle guardie del tempio per l’arresto. Per noi sacerdoti tale passaggio rimane da contemplare nel silenzio e nella preghiera, riascoltando le parole di Gesù “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perchè andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga.. vi ho chiamato amici, perchè vi ho fatto conoscere quanto ho appreso dal Padre”. Dentro questa bellezza, rimane il mistero della libertà umana che a volte si piega al male o giunge persino a rifiutare il Maestro o a ferirlo commettendo ciò che è male dentro il popolo di Dio. Come preti nei Luoghi Santi, vi chiedo di custodire con particolare cura questo “rimanere accanto al Signore, perseverando nelle prove accanto a Lui”, e di farvi pure intercessori per coloro che nel mondo o anche tra voi possono aver ferito il loro sacerdozio e il popolo di Dio in diversi modi. Come ho detto anche ai Seminaristi di Bet Jala qualche giorno fa, il mio motto episcopale “Ille Fidelis - Egli rimane fedele”, tratto dalla lettera di san Paolo a Timoteo, ricorda anche a me ogni giorno come programma di vita di rimanere innestato sulla fedeltà di Dio: la mia fedeltà si appoggia a quella di Cristo, come tralcio dell’unica vite. Se rimaniamo in Lui, porteremo frutto.
2. Il sacerdote ha un cuore reso fecondo dallo Spirito santo mediante l’unzione, ed è chiamato a portare frutto. Tale dimensione “generativa” non è frutto del nostro sforzo o della nostra intraprendenza pastorale anzitutto, perchè persino una fatica o una prova vissuta con la propria comunità diocesana o parrocchiale o a motivo di essa - esperienza quindi apparentemente di una “notte oscura” - nel tempo produce un frutto di vita eterna, se però non perdiamo la luce e la forza del Vangelo. Questo siamo chiamati a dare, il resto non è nulla o passa con la scena di questo mondo.
Desidero inserire in questo preciso orizzonte della “gioia del Vangelo” - evangelii gaudium, cui ci continua a richiamare Papa Francesco dopo la sua Esortazione Apostolica che reca lo stesso nome - la mia riflessione sull’essere sacerdoti nel Medio Oriente, quindi anche nel Patriarcato Latino. Prendo spunto da due casi estremi, di due sacerdoti di un altro Paese del Vicino Oriente che hanno subito il rapimento e di cui ho potuto raccogliere la testimonianza al loro passaggio a Roma dopo la liberazione. Mi colpiva sentire come il loro sacerdozio avesse liberato tutta la sua luminosità proprio dentro il buio di una cella o di un altro luogo di prigionia: è emerso anzitutto come dimensione della fede, perchè se ciascuno di noi non rimane credente e discepolo diventa un funzionario del sacro o un operatore sociale, ma svuota la sua testimonianza cristiana. In quei luoghi, quei due sacerdoti hanno custodito la propria relazione con Dio attraverso la preghiera e la quotidiana offerta di sè, benchè nella totalità dei giorni fosse loro preclusa la possibilità di celebrare l’Eucarestia. Tutti noi, quando celebriamo ripetiamo le parole dell’Istituzione “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”, e magari per ragioni pastorali vi capita di farlo anche due volte al giorno, ma talora capita che possa esserci una frattura tra quanto abbiamo celebrato e quanto, in modo anche bello, poi facciamo nelle nostre parrocchie con e per la nostra gente. Quanto è importante alla sera, stanchi della lunga giornata, poter riprendere il vissuto e rileggerne alla trama alla luce e unita all’offerta di Gesù nell’Eucarestia celebrata. Durante il tempo della prigionia, quei preti hanno riscoperto il valore dell’intercessione, in un duplice senso: da un lato, hanno sentito vero per loro quanto gli Atti degli Apostoli raccontano della prima comunità cristiana che non smetteva di pregare per Pietro in prigione. Dall’altro, non potendo fare per gli altri o raggiungerli fisicamente, lo facevano affidando la loro carezza e la loro premura, specie nei confronti dei più poveri e sofferenti, all’angelo del Signore che invocavano. Tutto questo per dire quanto è vera la Parola di Dio, per esempio quando San Paolo dice: “ma la Parola di Dio non è incatenata!”.
3. Certo, come Prefetto della Congregazione so bene anche di altre situazioni, sempre in Paesi del Vicino e Medio Oriente, proprio tra i sacerdoti, o tra i sacerdoti e il Vescovo, in cui si sono create delle incomprensioni, se non vere e proprie divisioni o aperto contrasto. Ci sono stati e ci possono essere degli errori umani, in campo morale, amministrativo o nella capacità di relazione, ma a volte c’è proprio una fatica generata dalle situazioni in cui ci si è venuti a trovare che sono oggettivamente più grandi delle nostre forze. Tutto questo ci fa accorti, perchè ci fa rendere conto da un lato della fragilità umana, anche tra i consacrati, e di come il Tentatore si insinua a voler sporcare il volto e l’abito della Chiesa Sposa di Cristo e nel voler lacerare in tanti più pezzetti la tunica del Salvatore, fomentando divisioni e contrapposizioni.
Vi chiedo di immaginare quanto possa essere bello seguire, come Sede Apostolica o Rappresentanze Pontificie, il tanto bene cresce attraverso l’opera di tanti buoni Vescovi e Sacerdoti, tra i quali anche voi, ma quanto possa essere duro e difficile accompagnare le zone d’ombra che si vengono a creare, prima che divengano vera e propria oscurità. Dobbiamo aiutarci tutti a camminare come Popolo di Dio, ricercando, sopra ogni cosa, la comunione e l’unità. Tali dimensioni sono anzitutto un dono di Dio, da continuare a invocare, ma anche una responsabilità da assumere nella nostra vita quotidiana. Magari qualche iniziativa di meno, ma vissuta in spirito di comunione. In un Medio Oriente diviso tra interessi e blocchi contrapposti a livello regionale, ostaggio di interessi internazionali che sembrano a volta lavorare per la frammentazione anzichè per la stabilità, come sacerdoti dobbiamo essere “balsamo di misericordia” - secondo una espressione usata durante l’ultima Sessione Plenaria del Dicastero - per curare le ferite dentro i nostri popoli, ma se noi per primo le dovessimo alimentare con qualche atteggiamento più o meno esplicito, quanto più grande sarà la nostra colpa. Prego e vi chiedo di aiutare a far sì che le comunità cristiane in Medio Oriente siano delle dimore di comunione, oasi di pace e di ristoro dentro contesti molto difficili, talora persino di persecuzione. Vi assicuro che la Sede Apostolica, in tutte le sedi e a tutti i livelli ove le è possibile esprimersi, continua a lavorare perchè siano rispettati i diritti di tutti, soprattutto i più deboli, e in modo particolare quello alla libertà non solo di culto, ma anche religiosa.
4. Un ultimo riferimento non può non essere quello a Maria, la Madre di tutti i noi sacerdoti. Di lei, i vangeli ci consegnano, tra le altre, due immagini: quella dello stare presso la Croce del Figlio e, prima, quello del custodire ogni cosa nel suo cuore. A Lei chiediamo di pregare per noi, perchè possiamo rimanere presso le croci che vivono le nostre comunità e i nostri fedeli. E chiediamo la grazia di poter portare e meditare nel nostro cuore le tante opere di Dio, e di lasciare fuori ciò che avvelena la nostra vita o i nostri rapporti. In tal modo saremo seminatori di bene e costruttori di futuro, vero fermento evangelico nelle terre che hanno visto presente il Figlio di Dio.
Rimango a disposizione per un dialogo con voi, sempre ripetendovi la stima, l’affetto e l’incoraggiamento di Papa Francesco e della Congregazione per il cammino che avete intrapreso insieme all’Amministratore Apostolico Mons. Pierbattista. Ricordatevi sempre, quanto il Papa ebbe a dire durante l’Udienza per la ROACO del 2016, prendendo spunto dal restauro delle Basilica della Natività a Betlemme: “Mi è stato riferito che proprio nel corso dei restauri a Betlemme, su una parete della navata, è venuto alla luce un settimo angelo in mosaico che, insieme agli altri sei, forma una sorta di processione verso il luogo che commemora il mistero della nascita del Verbo fatto carne. Questo fatto ci fa pensare che anche il volto delle nostre comunità ecclesiali può essere coperto da “incrostazioni” dovute ai diversi problemi e ai peccati. Eppure la vostra opera deve essere sempre guidata dalla certezza che sotto le incrostazioni materiali e morali, anche sotto le lacrime e il sangue provocate dalla guerra, dalla violenza e dalla persecuzione, sotto questo strato che sembra impenetrabile c’è un volto luminoso come quello dell’angelo del mosaico. E tutti voi, con i vostri progetti e le vostre azioni, cooperate a questo “restauro”, perché il volto della Chiesa rifletta visibilmente la luce di Cristo Verbo incarnato. Egli è la nostra pace, e bussa alla porta del nostro cuore in Medio Oriente”.
Conosco il prezioso lavoro che, come preti del Patriarcato Latino, portate avanti in tutti i campi della pastorale: parrocchie, scuole, opere sociali. Siete presenti sia nei grandi centri come nei piccoli villaggi, vicini al popolo di Dio. Grazie per tutto quello che state facendo: il Patriarcato Latino è una presenza importante nella vita della Chiesa in Medio Oriente, specie in Giordania, Israele e Palestina, e questo è possibile soprattutto grazie alla presenza dei bravi preti e religiose. Dio benedica quanto state facendo. Grazie!

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Intervento del Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, durante la preghiera di riparazione presso la Chiesa di Santo Stefano in Beit Jamal - venerdì 20 ottobre 2017 A.D.

Eccellenza Reverendissima, Mons. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico della Diocesi Patriarcale di Gerusalemme dei Latini,
Reverendissimo Mons. Marco Formica, Incaricato d’Affari della Nunziatura Apostolica in Israele,
Reverendo Ispettore Salesiano per il Medio Oriente,
Reverendo Superiore della Comunità Salesiana di Beit Jamal,
Reverendi Sacerdoti, Religiosi e Religiose,
Sorelle e fratelli nel Signore!
1.Sono molto colpito dal trovarmi qui oggi insieme a tutti voi, accorsi così numerosi. Idealmente mi ero recato già qui nello scorso mese di agosto, quando presiedetti la festa di Santo Stefano (nel ritrovamento delle reliquie) nella cattedrale della Diocesi di Concordia-Pordenone, a lui dedicata. Secondo molti studi archeologici ci troviamo presso la sepoltura di Stefano, in questo luogo ora chiamato Bet Jemal, l’antico Kfargamla. La radice di entrambe le denominazioni richiama il nome di Gamaliele, fariseo maestro di San Paolo, uomo giusto che fa riflettere i membri del Sinedrio dinanzi alla predicazione degli apostoli: egli si rivela uomo libero, non legato a correnti e schieramenti, che scruta attentamente la Parola di Dio e cerca soltanto la Sua volontà. Dice loro: “Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio” (At 5, 39). La sua sapienza non è soltanto la profonda conoscenza dei testi sacri e delle dottrine, ma il lasciarsi educare da esse: per Gamaliele Dio dunque non è una formula del passato, esiste, è il vivente, e mantiene la sua promessa, un giorno manderà il Suo Messia secondo il suo disegno, non secondo quello che progettano gli uomini pur religiosi. Lascia aperta la porta del cuore e della vita all’irrompere dell’agire di Dio. Non per nulla alcune tradizioni più tarde raffigurano Gamaliele raccogliere insieme a Nicodemo il corpo di Stefano, facendosi dunque compagno di questi nel venire progressivamente alla luce di Cristo: insieme, sempre secondo una tradizione apocrifa, avrebbero ricevuto il Battesimo. Di fatto, l’episodio del ritrovamento delle reliquie descritto dal presbitero Luciano, parla di una apparizione in cui sono citati i corpi non soltanto di Stefano, ma appunto, tra gli altri, di Gamaliele e Nicodemo. Essere qui ci interroga come credenti sulla testimonianza di Gamaliele, ci interroga sul nostro essere uomini e donne - e mi rivolgo in particolare a noi Vescovi, sacerdoti - sulla nostra capacità di mantenere aperta la vita all’agire di Dio, radicati e fondati sulla meditazione attenta della Parola, amandola negli spazi di silenzio che è necessario ritrovare nella frenesia degli adempimenti della vita pastorale, amandola nel nostro cuore e ripetendola nel nostro intimo. “Lampada ai miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino”.
Proprio qui nella chiesa di Beit Jamal ci troviamo sotto la grande immagine del Crocifisso, con le parole “Pater, dimitte illis - Padre, perdona loro”. Esse fanno eco all’espressione di Stefano negli Atti degli Apostoli: “Non imputare loro questo peccato”, che seguono immediatamente il suo affidamento “Signore Gesù, accogli il mio spirito”. Solo un animo completamente abbandonato a Dio può continuare a fare sgorgare dal suo cuore il balsamo del perdono, che giunge ad abbracciare i nemici e i persecutori. Attingendo forza dalle “viscere di misericordia” - come cantiamo ogni mattina nel Benedictus - anche la nostra vita vince la propria sterilità e diventa capace di generare vita, restituendo all’altro la propria dignità grazie al perdono che siamo in grado di offrire. Vorremmo chiedere l’intercessione di santo Stefano quest’oggi, perchè ciascuno di noi anzitutto per se stesso accolga l’invito di Paolo “Lasciatevi riconciliare con Dio”, e verifichi quali ambiti della propria vita debbono essere posti sotto la luce del suo perdono. Il modo di Gamaliele di leggere la vicenda degli apostoli davanti al Sinedrio, ci insegni anche ad avere una simpatia per tutti coloro che, apparentemente fuori dalla cerchia delle nostre comunità, sono cercatori di Dio e con le loro domande ci aiutano a scoprirlo nel segreto del nostro quotidiano.
2. La scena di devastazione e vandalismo che abbiamo avuto sotto gli occhi ci lascia ancora sconcerti, e per questo siamo qui a pregare facendo riparazione dell’attentato vandalico ad un luogo che dovrebbe essere sacro non solo ai cristiani, ma all’amicizia ebraico-cristiana. Tuttavia, quello che è stato distrutto ci impone di vivere fino in fondo la memoria di questo luogo, che non è la conservazione delle pietre - pur giusta e doverosa - ma la continuazione dell’atteggiamento del cuore e del gesto di Stefano “ Padre perdonali”. Sono qui convinto di questo, unendomi a tutti coloro - non solo cristiani - che si sono sentiti feriti da questo ennesimo gesto di intolleranza, insieme agli Ordinari Cattolici di Terra Santa e al loro pronunciamento. Ma voglio anche dire un grazie a quanti dopo questo episodio si sono resi vicini, hanno visitato, si sono interessati, esprimendo il loro sincero rincrescimento, tra i cristiani di altre confessioni, credenti di altre religioni ed anche Autorità Politiche. Mi sia consentito di esprimere la riconoscenza anche a quanto è stato detto da un esponente del governo di Israele, il Ministro Tzachi Hanegbi, attraverso un comunicato rilanciato anche sul sito del Ministero degli Esteri: “I was saddened to hear about last Wednesday’s indefensible act of vandalism against the St. Stephen’s Church in Beit Jamal. I strongly condemn this, and any other act of vandalism against a holy site of any faith. Vandalism of holy sites stands in complete contrast to the State of Israel’s values and traditions. Israel is a democracy that guarantess freedom of religion and worship and is committed to coexistence and a culture of mutual respect. Vandalism of Christian holy sites in Israel is not only an attack against Christianity, it is an attack on our democracy…”.
La Chiesa cattolica deve denunciare il male che è stato compiuto, ma ancor più in questo luogo offrire il proprio perdono e continuare a difendere, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, il valore supremo della libertà religiosa come fondamento di ogni pacifica ed autentica convivenza civile.
Maria Santissima, Regina degli Apostoli e dei Martiri, prega con noi e per noi in questa serata di verità e di misericordia. Amen