Il cardinale Sandri sulla colletta per la Terra santa

preghiera-2di NICOLA GORI

È la pace la prima emergenza per l’Oriente e per il mondo. Nonostante il pesante tributo pagato dai cristiani, anche in questi anni più recenti come testimonia la Siria, «la vocazione di quella Terra — dice il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, in questa intervista al nostro giornale — è di essere il fulcro dell’incontro e della pace, tra Dio e l’umanità, e tra di noi al di là di ogni differenza e di ogni smentita della storia». Una caratteristica che Papa Francesco farà risaltare durante la sua prossima visita, assicura il porporato, che spiega il significato della colletta per la Terra santa che si raccoglie il venerdì santo.

Qual è il significato di questa tradizionale iniziativa?
La colletta per i luoghi santi è una tra le più significative espressioni della sollecitudine del Papa a favore della Chiesa a Gerusalemme e in tutta la Terra santa. È il senso della condivisione tra le Chiese dei beni spirituali e materiali. Quando però si parla di Terra santa si pensa piuttosto a uno scambio: ci scambiamo la preghiera vicendevole e il patrimonio della memoria a sostegno della comune missione. Da essa riceviamo l’eco del primo annuncio evangelico. Sono i nostri fratelli e le nostre sorelle nella fede a custodirlo, uniti ai loro pastori. Non a caso il Papa, ricevendo la nostra Congregazione nella plenaria di novembre, ha detto che ogni cattolico ha un debito di riconoscenza verso le Chiese che vivono in quella regione. Abbiamo un debito da onorare perché in esse ritroviamo i nostri inizi.

Perché proprio il venerdì santo?
Perché è il giorno del silenzio di Gesù. È il giorno che fa memoria della totalità del dono. Il giorno in cui si proclama che “tutto è compiuto”. E se tutto è compiuto, può parlare solo l’amore nella sua pienezza. Mai come quest’anno mi sono sembrati carichi di amore gli attimi di silenzio che in piazza San Pietro nella domenica delle Palme hanno confermato il momento della morte nella proclamazione della passione di Gesù. Ho pensato in quell’attimo a padre Frans van der Lugt, il gesuita olandese assassinato pochi giorni fa a Homs in Siria. E alle innumerevoli e, purtroppo dimenticate, vittime innocenti che in quella terra santa continuano a irrorare col sangue l’annuncio della pace che viene da Dio. Pensavo alla gioia delle religiose ortodosse della cittadina siriana di Maalula da poco liberate. Ma avvertivo angoscia nel cuore per il vescovo siro-ortodosso Youhanna Ibrahim, che conosco personalmente, e il metropolita greco-ortodosso Boulos Yazigi, rapiti mentre tentavano di liberare due sacerdoti, Maher Mahfouz, greco-ortodosso, e Michel Kayyal, di 27 anni, armeno-cattolico e già nostro studente nel Pontificio collegio armeno. Sempre preghiamo per loro e per padre Paolo D all’Oglio, il gesuita romano di cui nulla si sa da tempo. Non vogliamo rassegnarci a ritenerli perduti!

A proposito della Siria, non c’è il rischio di assefuarsi progressivamente al dramma che quel Paese sta vivendo da oltre tre anni?
Certo, la situazione della Siria è quella che desta maggiori preoccupazioni. Tuttavia non si devono dimenticare i cattolici di Gerusalemme, Palestina e Israele, come di altre aree mediorientali, quali l’Egitto e l’Iraq. C’è l’Ucraina dove gli orientali cattolici sono messi a dura prova. È innegabile però che a tenere alta la tensione è la Siria. Pur nella confusione dei dati e ancor più delle responsabilità, le notizie recenti di un altro ricorso alle armi letali, come il dilagare delle violenze che colpiscono le fasce più deboli della società, i pesanti attacchi ai villaggi cristiani, con la profanazione di chiese e gli impedimenti così gravi alla pratica del culto e alla vita ecclesiale, specie nella dimensione sociale, educativa e assistenziale, impongono di tenere vive le coscienze. Nulla deve rimanere intentato perché i diritti umani, compresa la libertà religiosa, siano salvaguardati. Purtroppo, essi sono diffusamente calpestati e, perciò, vanno al più presto ripristinati.

Cosa si fa concretamente per le popolazioni martoriate dalla guerra e dalla violenza?
Le iniziative a favore della Siria sono veramente numerose e provengono da tutta la Chiesa, come pure dal mondo laico. Catene di volontari cercano di fare molto in una situazione spesso impossibile da gestire e che impedisce persino i soccorsi primari. La Congregazione per le Chiese orientali si è posta in stretta collaborazione con la nunziatura apostolica a Damasco per assicurare in occasione di questa Pasqua la vicinanza dei cattolici del mondo intero. Si aiutano personalmente i vescovi e i sacerdoti, i religiosi e le religiose: sono proprio loro, del resto, ad aprire giorno per giorno prima di tutto il cuore, e poi le porte delle Chiese e delle strutture pastorali — molte delle quali fortemente compromesse ormai dai bombardamenti ricorrenti — a tutti i bisognosi senza distinzione. Si darà la possibile assistenza alle scuole e a tutto ciò che può alleviare la insostenibile condizione dell’infanzia e della gioventù. La Siria non è dimenticata. L’oblio di questo dramma non può essere accettato.

In che modo sono coinvolte anche le comunità di altri Paesi?
Nella lettera che ho inviato a tutti i vescovi cattolici a sostegno della colletta e per ringraziarli della loro sensibilità, ho richiamato il problema della Siria, che si estende nell’intera area generando un flusso ininterrotto di profughi. In Giordania, per esempio, nel campo profughi di Zaatari, la Custodia di Terra santa calcola novantamila profughi siriani. Il Libano sta affrontando un grande sforzo di accoglienza.

Qual è al riguardo il ruolo del dicastero?
Siamo in costante contatto con il nunzio apostolico Zenari, che ringrazio di cuore insieme agli altri nunzi del Medio Oriente. Per il loro tramite giungerà la carità della Chiesa universale a tanti fratelli e sorelle in occasione della Pasqua. Coordiniamo poi l’attività delle agenzie che formano la Riunione delle Opere di aiuto alle Chiese Orientali (Roaco), espressione di importanti Chiese del nord America e dell’Europa, perché siano effettivamente mirate. La nostra presenza favorisce in seno a queste organizzazioni la conoscenza delle Chiese e delle reali necessità.

Tra poco Papa Francesco si recherà in Terra santa. Che impatto può avere sulla vita di quelle comunità?
La vocazione di quella Terra è di essere il fulcro dell’incontro e della pace, tra Dio e l’umanità, e tra di noi al di là di ogni differenza e di ogni smentita della storia. Proprio con questo augurio si dispongono alla visita che il Papa vi compirà nel mese di maggio e che avrò l’onore di condividere. Sarà un pellegrinaggio “ecumenico” nel cinquantesimo anniversario dell’abbraccio che si sono scambiati Paolo VI e Atenagora: quello tra Roma e Costantinopoli a Gerusalemme. La portata dell’evento fu singolare per le sorti della pace mondiale. E lo potrà essere il nuovo incontro tra Francesco e Bartolomeo. Per questo lo affidiamo, come ci ha chiesto il Santo Padre stesso, a Giovanni XXIII e a Giovanni Paolo II, ormai vicinissimi alla canonizzazione, affinché «instancabili operatori di pace sulla terra, siano nostri intercessori in cielo». È la pace, tuttora, la prima emergenza per l’Oriente e per il mondo.

© Osservatore Romano - 18 aprile 2014