Special Pan-Orthodox Council Wall
Nella dimensione della sinodalità
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- Creato: 22 Giugno 2016
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da Chania HYACINTHE DESTIVELLE
Il 20 giugno si è tenuta la prima sessione del Santo e grande concilio della Chiesa ortodossa. Disposti a semicerchio su una larga pedana a destra e a sinistra del patriarca ecumenico nell’ordine dei dittici, come stabilito dal regolamento del concilio, i primati siedono di fronte all’assemblea dei padri conciliari, le delegazioni delle dieci Chiese presenti. Al centro del semicerchio, davanti al patriarca Bartolomeo, si trova un piccolo altare sul quale è posto il libro dei vangeli, tra due ceri accesi. Dietro i primati, in un secondo semicerchio, sono seduti i vescovi consiglieri, due per primate.
Sullo sfondo è raffigurata l’icona della Pentecoste circondata da altre due, quelle di Cristo e della Madre di Dio. Il motto del concilio, «Egli ha chiamato tutti all’unità», è scritto in diverse lingue, mentre in alto sono rappresentati gli stemmi delle quattordici Chiese ortodosse autocefale. Questa sessione inaugurale è stata aperta agli osservatori delle altre Chiese, confessioni e organizzazioni cristiane, e anche ai giornalisti. Il canto dell’inno della Pentecoste è seguito dalla proclamazione del vangelo di san Marco, dove i figli di Zebedeo chiedono di sedere alla destra e alla sinistra di Cristo. Questi risponde loro: «Chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Marc o , 10, 35-45). Il patriarca ecumenico, ricordando che l’attenzione del mondo intero è rivolta al concilio, sottolinea la responsabilità che questo sguardo fa ricadere sui padri conciliari. L’unico messaggio che cita è quello di Papa Francesco, che il 19 giugno, durante l’Angelus e su twitter, ha invitato a unirsi alla preghiera degli ortodossi per il Santo e grande concilio: «Ieri — osserva Bartolomeo — Sua Santità ha pregato per il successo dei nostri lavori non solo durante l’Angelus ma anche attraverso internet; ha avuto la gentilezza di ricordare il nostro concilio e di auspicare il suo successo. Gli porgiamo il nostro cordiale ringraziamento». L’arcivescovo di Costantinopoli spiega poi che la sinassi dei primati del 17 giugno ha deciso di inviare ai quattro primati assenti un telegramma invitandoli a partecipare al concilio, o quanto meno a unirsi alla liturgia di Pentecoste del 19 o a quella di chiusura del 26. Due patriarchi hanno risposto: il patriarca Giovanni di Antiochia ha auspicato nuovamente il rinvio del concilio a dopo la risoluzione del problema del Qatar, il patriarca Cirillo di Mosca ha ricordato la decisione del Santo sinodo della Chiesa ortodossa russa del 13 giugno. In una lunga e ricca prolusione, il patriarca si sofferma poi sul significato e sulle prospettive della convocazione del Santo e grande concilio. Presentando la sinodalità come una dimensione intrinseca alla Chiesa, e anche come una dimensione della fede cristiana, sottolinea che l’istituzione sinodale «trae la sua origine dalle profondità del mistero della Chiesa». Quella che «noi abbiamo ricevuto e preservato non è innanzitutto una questione di tradizione canonica, ma di verità fondamentale teologica e dottrinale senza la quale non c’è salvezza». In effetti, «quando proclamiamo, attraverso il simbolo sacro della nostra fede, di credere nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, proclamiamo nello stesso tempo la sua sinodalità che incarna tutte queste caratteristiche del mistero della Chiesa nella storia, ossia la sua unità, santità, cattolicità e apostolicità ». Di fatto, «senza la sinodalità l’unità della Chiesa è frazionata », la santità dei suoi membri è «ridotta a una moralità individuale », la cattolicità è «sacrificata al profitto di interessi particolari individuali, collettivi, nazionali» e il messaggio apostolico non può essere pro clamato. Bartolomeo mostra quindi che la sinodalità è indissociabile dalla storia della Chiesa, ricordando via via il concilio apostolico di Gerusalemme, gli antichi concili metropolitani (Canoni apostolici, 34), i concili ecumenici, ma anche, nel secondo millennio, i numerosi concili ortodossi, come i concili palamiti del XIV secolo, i quali «testimoniano che, malgrado le difficoltà, la Chiesa ortodossa non ha mai interrotto la sua attività sinodale neanche a livello panorto dosso». Sono state tre le ragioni per cui è stato convocato l’attuale concilio. Innanzitutto «la sinodalità costituisce un’espressione e una dimostrazione del mistero della Chiesa stessa ». Inoltre, è resa necessaria dallo sviluppo del sistema dell’auto cefalia: in effetti, «anche se questa struttura è canonicamente ed ecclesiologicamente corretta, il rischio che si trasformi in una sorta di federazione di Chiese, ognuna delle quali promuove i propri interessi e ambizioni […] rende necessaria l’applicazione della sinodalità». Infine, l’ortodossia deve far fronte a nuove sfide che richiedono una risposta comune, come quelle della diaspora, del movimento ecumenico, della proclamazione delle autonomie e autocefalie. Certo, altri problemi, come quello ambientale, le questioni bioetiche, la secolarizzazione, possono sembrare più attuali. Ma la Chiesa ortodossa, per essere credibile, deve innanzitutto risolvere le sue questioni interne. Quelle esterne saranno affrontate nel messaggio finale del concilio, che, tra l’altro, potrà essere seguito da altri concili, come suggerisce il patriarca Daniele di Romania. Ma alla fine «il significato e l’imp ortanza di questo concilio poggiano prima di tutto sul fatto stesso della sua realizzazione, con la grazia di Dio» ha aggiunto Bartolomeo. Dopo una meditazione finale sul mistero della Pentecoste, «mistero di unità nella diversità», l’a rc i v e s c o v o di Costantinopoli esprime il proprio «dolore» per le Chiese ortodosse che «all’ultimo momento» hanno comunicato la loro assenza, mentre «avevano partecipato a tutto [il lavoro preparatorio] e avevano l’opportunità di esprimere il loro punto di vista». Infine saluta cordialmente gli osservatori delle altre Chiese, confessioni e organizzazioni cristiane, tra i quali il cardinale Kurt Koch e monsignor Brian Farrell, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: «È con autentica gioia e con affetto fraterno che vi vediamo in mezzo a noi in questa propizia occasione della nostra storica assemblea panortodossa » ha dichiarato Bartolomeo. «Nel corso di questi anni, il vostro supporto e la vostra preghiera hanno sempre rappresentato un’inestimabile fonte di incoraggiamento e di forza per noi. Abbiamo inoltre camminato insieme nel dialogo teologico e nella cooperazione ecumenica, con la volontà di rispondere alle divisioni teologiche del passato e alle sfide globali del nostro tempo». Prende poi la parola ognuno degli altri nove primati, nell’ordine dei dittici. Fra di essi, l’arcivescovo Crisostomo di Cipro, che ricorda gli ostacoli al concilio, denuncia in particolare l’etnofiletismo (cioè il nazionalismo ecclesiale condannato dal concilio di Costantinopoli nel 1872): «Diveniamo ridicoli — dichiara — facendo della nazione l’elemento costitutivo della nostra ecclesiologia e della nostra identità ecclesiastica». In risposta all’evocazione, da parte di diversi primati, delle Chiese assenti, il patriarca Bartolomeo poi dichiara: «Preghiamo con voi e speriamo che le Chiese sorelle scelgano di leggere e di firmare le decisioni di questo Santo e grande concilio». Tuttavia, ricorda che l’assenza di una Chiesa non invalida necessariamente un concilio, citando il terzo concilio ecumenico (431) in cui la Chiesa di Antiochia era assente, o quello di Costantinopoli del 1872, riunito senza le Chiese di Bulgaria e di Russia. L’arcivescovo Anastasio di Albania solleva da parte sua la questione dell’opportunità di conservare il principio dell’unanimità: se il consenso è auspicabile, il principio dell’unanimità, a suo parere, non è tradizionale, e può paradossalmente portare a offrire della Chiesa ortodossa un’immagine di disunione. Ricorda il canone 6 del concilio di Nicea che prescrive il principio maggioritario in caso di stallo. Questo punto viene sviluppato anche dal patriarca Bartolomeo che, concludendo la prima sessione, sottolinea che questo Santo e grande concilio è iniziato il 19 giugno, proprio come il primo concilio ecumenico. La seconda sessione del concilio, lunedì pomeriggio, è dedicata allo studio del documento intitolato La missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo, primo tema all’ordine del giorno. Si svolge a porte chiuse, come tutte le altre sessioni del concilio, fino alla sua chiusura, il 25 giugno, che sarà di nuovo aperta agli osservatori e ai giornalisti. Nel corso della seconda sessione, i padri conciliari hanno approvato all’unanimità la proposta di inviare un messaggio di solidarietà al patriarca Ignazio Ephrem II, della Chiesa siro-ortodossa, vittima di un attentato in Siria. Non è indubbiamente un caso che i cristiani del Medio oriente siano i primi a beneficiare della rinnovata sinodalità dell’ortodossia.
© Osservatore Romano - 22 giugno 2016
Il 20 giugno si è tenuta la prima sessione del Santo e grande concilio della Chiesa ortodossa. Disposti a semicerchio su una larga pedana a destra e a sinistra del patriarca ecumenico nell’ordine dei dittici, come stabilito dal regolamento del concilio, i primati siedono di fronte all’assemblea dei padri conciliari, le delegazioni delle dieci Chiese presenti. Al centro del semicerchio, davanti al patriarca Bartolomeo, si trova un piccolo altare sul quale è posto il libro dei vangeli, tra due ceri accesi. Dietro i primati, in un secondo semicerchio, sono seduti i vescovi consiglieri, due per primate.
Sullo sfondo è raffigurata l’icona della Pentecoste circondata da altre due, quelle di Cristo e della Madre di Dio. Il motto del concilio, «Egli ha chiamato tutti all’unità», è scritto in diverse lingue, mentre in alto sono rappresentati gli stemmi delle quattordici Chiese ortodosse autocefale. Questa sessione inaugurale è stata aperta agli osservatori delle altre Chiese, confessioni e organizzazioni cristiane, e anche ai giornalisti. Il canto dell’inno della Pentecoste è seguito dalla proclamazione del vangelo di san Marco, dove i figli di Zebedeo chiedono di sedere alla destra e alla sinistra di Cristo. Questi risponde loro: «Chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Marc o , 10, 35-45). Il patriarca ecumenico, ricordando che l’attenzione del mondo intero è rivolta al concilio, sottolinea la responsabilità che questo sguardo fa ricadere sui padri conciliari. L’unico messaggio che cita è quello di Papa Francesco, che il 19 giugno, durante l’Angelus e su twitter, ha invitato a unirsi alla preghiera degli ortodossi per il Santo e grande concilio: «Ieri — osserva Bartolomeo — Sua Santità ha pregato per il successo dei nostri lavori non solo durante l’Angelus ma anche attraverso internet; ha avuto la gentilezza di ricordare il nostro concilio e di auspicare il suo successo. Gli porgiamo il nostro cordiale ringraziamento». L’arcivescovo di Costantinopoli spiega poi che la sinassi dei primati del 17 giugno ha deciso di inviare ai quattro primati assenti un telegramma invitandoli a partecipare al concilio, o quanto meno a unirsi alla liturgia di Pentecoste del 19 o a quella di chiusura del 26. Due patriarchi hanno risposto: il patriarca Giovanni di Antiochia ha auspicato nuovamente il rinvio del concilio a dopo la risoluzione del problema del Qatar, il patriarca Cirillo di Mosca ha ricordato la decisione del Santo sinodo della Chiesa ortodossa russa del 13 giugno. In una lunga e ricca prolusione, il patriarca si sofferma poi sul significato e sulle prospettive della convocazione del Santo e grande concilio. Presentando la sinodalità come una dimensione intrinseca alla Chiesa, e anche come una dimensione della fede cristiana, sottolinea che l’istituzione sinodale «trae la sua origine dalle profondità del mistero della Chiesa». Quella che «noi abbiamo ricevuto e preservato non è innanzitutto una questione di tradizione canonica, ma di verità fondamentale teologica e dottrinale senza la quale non c’è salvezza». In effetti, «quando proclamiamo, attraverso il simbolo sacro della nostra fede, di credere nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, proclamiamo nello stesso tempo la sua sinodalità che incarna tutte queste caratteristiche del mistero della Chiesa nella storia, ossia la sua unità, santità, cattolicità e apostolicità ». Di fatto, «senza la sinodalità l’unità della Chiesa è frazionata », la santità dei suoi membri è «ridotta a una moralità individuale », la cattolicità è «sacrificata al profitto di interessi particolari individuali, collettivi, nazionali» e il messaggio apostolico non può essere pro clamato. Bartolomeo mostra quindi che la sinodalità è indissociabile dalla storia della Chiesa, ricordando via via il concilio apostolico di Gerusalemme, gli antichi concili metropolitani (Canoni apostolici, 34), i concili ecumenici, ma anche, nel secondo millennio, i numerosi concili ortodossi, come i concili palamiti del XIV secolo, i quali «testimoniano che, malgrado le difficoltà, la Chiesa ortodossa non ha mai interrotto la sua attività sinodale neanche a livello panorto dosso». Sono state tre le ragioni per cui è stato convocato l’attuale concilio. Innanzitutto «la sinodalità costituisce un’espressione e una dimostrazione del mistero della Chiesa stessa ». Inoltre, è resa necessaria dallo sviluppo del sistema dell’auto cefalia: in effetti, «anche se questa struttura è canonicamente ed ecclesiologicamente corretta, il rischio che si trasformi in una sorta di federazione di Chiese, ognuna delle quali promuove i propri interessi e ambizioni […] rende necessaria l’applicazione della sinodalità». Infine, l’ortodossia deve far fronte a nuove sfide che richiedono una risposta comune, come quelle della diaspora, del movimento ecumenico, della proclamazione delle autonomie e autocefalie. Certo, altri problemi, come quello ambientale, le questioni bioetiche, la secolarizzazione, possono sembrare più attuali. Ma la Chiesa ortodossa, per essere credibile, deve innanzitutto risolvere le sue questioni interne. Quelle esterne saranno affrontate nel messaggio finale del concilio, che, tra l’altro, potrà essere seguito da altri concili, come suggerisce il patriarca Daniele di Romania. Ma alla fine «il significato e l’imp ortanza di questo concilio poggiano prima di tutto sul fatto stesso della sua realizzazione, con la grazia di Dio» ha aggiunto Bartolomeo. Dopo una meditazione finale sul mistero della Pentecoste, «mistero di unità nella diversità», l’a rc i v e s c o v o di Costantinopoli esprime il proprio «dolore» per le Chiese ortodosse che «all’ultimo momento» hanno comunicato la loro assenza, mentre «avevano partecipato a tutto [il lavoro preparatorio] e avevano l’opportunità di esprimere il loro punto di vista». Infine saluta cordialmente gli osservatori delle altre Chiese, confessioni e organizzazioni cristiane, tra i quali il cardinale Kurt Koch e monsignor Brian Farrell, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: «È con autentica gioia e con affetto fraterno che vi vediamo in mezzo a noi in questa propizia occasione della nostra storica assemblea panortodossa » ha dichiarato Bartolomeo. «Nel corso di questi anni, il vostro supporto e la vostra preghiera hanno sempre rappresentato un’inestimabile fonte di incoraggiamento e di forza per noi. Abbiamo inoltre camminato insieme nel dialogo teologico e nella cooperazione ecumenica, con la volontà di rispondere alle divisioni teologiche del passato e alle sfide globali del nostro tempo». Prende poi la parola ognuno degli altri nove primati, nell’ordine dei dittici. Fra di essi, l’arcivescovo Crisostomo di Cipro, che ricorda gli ostacoli al concilio, denuncia in particolare l’etnofiletismo (cioè il nazionalismo ecclesiale condannato dal concilio di Costantinopoli nel 1872): «Diveniamo ridicoli — dichiara — facendo della nazione l’elemento costitutivo della nostra ecclesiologia e della nostra identità ecclesiastica». In risposta all’evocazione, da parte di diversi primati, delle Chiese assenti, il patriarca Bartolomeo poi dichiara: «Preghiamo con voi e speriamo che le Chiese sorelle scelgano di leggere e di firmare le decisioni di questo Santo e grande concilio». Tuttavia, ricorda che l’assenza di una Chiesa non invalida necessariamente un concilio, citando il terzo concilio ecumenico (431) in cui la Chiesa di Antiochia era assente, o quello di Costantinopoli del 1872, riunito senza le Chiese di Bulgaria e di Russia. L’arcivescovo Anastasio di Albania solleva da parte sua la questione dell’opportunità di conservare il principio dell’unanimità: se il consenso è auspicabile, il principio dell’unanimità, a suo parere, non è tradizionale, e può paradossalmente portare a offrire della Chiesa ortodossa un’immagine di disunione. Ricorda il canone 6 del concilio di Nicea che prescrive il principio maggioritario in caso di stallo. Questo punto viene sviluppato anche dal patriarca Bartolomeo che, concludendo la prima sessione, sottolinea che questo Santo e grande concilio è iniziato il 19 giugno, proprio come il primo concilio ecumenico. La seconda sessione del concilio, lunedì pomeriggio, è dedicata allo studio del documento intitolato La missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo, primo tema all’ordine del giorno. Si svolge a porte chiuse, come tutte le altre sessioni del concilio, fino alla sua chiusura, il 25 giugno, che sarà di nuovo aperta agli osservatori e ai giornalisti. Nel corso della seconda sessione, i padri conciliari hanno approvato all’unanimità la proposta di inviare un messaggio di solidarietà al patriarca Ignazio Ephrem II, della Chiesa siro-ortodossa, vittima di un attentato in Siria. Non è indubbiamente un caso che i cristiani del Medio oriente siano i primi a beneficiare della rinnovata sinodalità dell’ortodossia.
© Osservatore Romano - 22 giugno 2016