Un anno fa l’incontro tra Francesco e Cirillo

abbraccio francesco kirilldi FABRIZIO CONTESSA

Non un episodio isolato ma una «nuova partenza» nel dialogo tra due le Chiese sorelle. Il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e il metropolita Ilarione, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato di Mosca, definiscono così lo storico incontro all’Avana tra Papa Francesco e il patriarca Cirillo.
Un abbraccio fraterno, il primo tra i capi delle due Chiese, suggellato da una dichiarazione comune, avvenuto un anno fa — per l’esattezza il 12 febbraio — sul suolo cubano, terreno in qualche modo ritenuto “neutrale” nel senso di estraneo a tutti quei profondi dissidi, a volte feroci, che hanno attraversato e drammaticamente segnato il cristianesimo del secondo millennio. Un anniversario che Koch e Ilarione ricordano in una intervista rilasciata ad «Alma&Georges», la rivista in rete dell’università di Friburgo. Proprio nello storico ateneo svizzero è in programma domenica 12 febbraio una conferenza pubblica durante la quale i rappresentanti delle due Chiese, prendendo spunto dall’incontro dell’Avana, riferiranno sui progressi e sul cammino di avvicinamento tra Roma e Mosca. Argomenti sostanzialmente anticipati in questa intervista in cui entrambi si dicono estremamente fiduciosi sul futuro del dialogo ecumenico. Per il cardinale Koch l’incontro di un anno fa non è stato dunque un «semplice colloquio», che ora può essere comodamente archiviato come «un fatto del passato», bensì «un nuovo inizio, orientato verso il futuro, verso una comunione e delle relazioni più impegnate e profonde». Un nuovo modo, sottolinea, anche nell’affrontare «le grandi sfide del mondo di oggi» — crisi dei rifugiati, terrorismo, scontri armati, persecuzione dei cristiani — che andranno colte come occasioni per esprimere «maggiore solidarietà e unità fra i cristiani». Perché, sottolinea Ilarione citando il passaggio finale della dichiarazione comune firmata da Francesco e Cirillo all’Avana, «Cristo è fonte di gioia e di speranza» e «la fede in lui trasfigura la vita umana, la riempie di significato». Ecco dunque il senso forse più profondo e importante del dialogo ecumenico. Non una riappacificazione fine a se stessa ma un segno di speranza per il mondo intero. Un processo che tuttavia deve poter avanzare senza avere l’ansia dei risultati. Ciò significa, per il cardinale Koch, soprattutto valorizzare tutte quelle iniziative, e non sono poche, che vedono impegnate le due Chiese su tanti fronti, da quello caritativo a quello etico, alle manifestazioni culturali. «Non dobbiamo spingerci — ha aggiunto il metropolita Ilarione — al di là delle nostre differenze nei campi della teologia e della struttura ecclesiastica. Esse sono numerose e devono essere accuratamente discusse dai teologi. In queste discussioni, condotte da apposite commissione teologiche, dobbiamo essere onesti». Non bisogna, insomma, nascondere differenze o evitare di parlare di «problemi dolorosi» (viene citata come esempio la questione dell’uniatismo) che «devono essere affrontati in connessione con il secondo millennio della nostra esistenza comune, durante il quale sono stati commessi molti errori, che hanno ancora ripercussioni». Discussione tuttavia che «non deve impedirci di agire insieme per il bene delle nostre comunità nel mondo». In tal senso, «dobbiamo fare ogni sforzo per difendere i cristiani perseguitati in Medio oriente, che stanno cercando di rimanere dove sono nati e dove il cristianesimo esiste da duemila anni». Come pure, «possiamo sviluppare molte opportunità di cooperazione e di amicizia, senza essere infedeli alle nostre tradizioni o fare concessioni in materia dottrinale ed ecclesiologica». Una prospettiva ampiamente condivisa dal presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il quale in sostanza ribadisce come la Chiesa cattolica certamente non abbracci canali preferenziali nel dialogo con le Chiese ortodosse. In questo senso, ha detto il porporato, «si distingue l’ecumenismo della verità e l’ecumenismo della carità». Laddove il primo «si riferisce al dialogo teologico su questioni di fede, che devono essere affrontate insieme. Questo dialogo è condotto dalla Chiesa cattolica non bilateralmente, ma in una commissione mista internazionale multilaterale che comprende tutte le Chiese ortodosse e attraverso una commissione per la famiglia delle Chiese ortodosse orientali». Parallelamente, «il dialogo della carità vuole approfondire le relazioni fraterne e amichevoli a livello bilaterale ma sempre in vista dell’unità con tutta l’ortodossia».

© Osservatore Romano - 11 febbraio 2017