Stati Uniti La denuncia delle comunità cristiane statunitensi. Una crisi morale e non di confini - by Fabrizio Contessa L'Osservatore Romano

muro messico usa1(Fabrizio Contessa) «Ci troviamo di fronte a una crisi morale come Paese, non a una crisi dei confini o a un’emergenza nazionale». Parole del pastore John C. Dorhauer, presidente della United Church of Christ, una delle più attive e conosciute comunità riformate statunitensi. Dichiarazione che getta una luce tutta particolare sulla cronaca degli Stati Uniti, che sulla vicenda della costruzione del muro con il Messico si sono impantanati da oltre un mese nello shutdown più lungo della storia. Con la chiusura di tanti servizi gestiti dalle agenzie governative e oltre 800.000 dipendenti pubblici che lavorano gratis o sono a casa senza alcun salario.
Una impasse che evidenzia appunto la fragilità, non solo economica, di una nazione che per antonomasia viene definita una superpotenza. Come un gigante dai piedi di argilla che in queste ore registra l’aumento esponenziale delle persone in fila per un aiuto presso le charities cristiane, mentre non sono poche le organizzazioni di beneficenza che stanno offrendo cibo e un piccolo contributo per l’alloggio. Del resto, tanto per rendere l’idea, il sindaco di New York, Bill de Blasio, ha annunciato che di questo passo l’amministrazione della Big Apple perderà 500 milioni di dollari a settimana, mettendo a rischio una serie di programmi di assistenza, a partire dai buoni pasto per 1,6 milioni di newyorkesi, alle facilitazioni abitative per i malati di aids, fino alle mense scolastiche e all’assistenza dei senzatetto.
In questo quadro di crisi, che è in primo luogo morale perché si pone in direzione contraria alla lunga tradizione di accoglienza offerta a immigrati e rifugiati, si moltiplicano da parte delle comunità cristiane gli appelli a porre fine alla semiparalisi amministrativa del Paese. I vescovi cattolici, attraverso una dichiarazione del cardinale presidente dell’episcopato, l’arcivescovo di Galveston-Houston, Daniel DiNardo, e del vescovo di Austin e presidente della commissione per le migrazioni, Joe Steve Vásquez, hanno lanciato un invito rivolto a tutto campo agli attori politici nazionali perché trovino una soluzione bipartisan che tenga conto non solo delle famiglie dei lavoratori federali, ma anche di tutti quei programmi di assistenza alimentare e abitativa che lo shutdown ha messo pesantemente in crisi. Nella ferma convinzione, soprattutto, che il progetto di costruzione del muro con il Messico, causa della discordia legislativa, debba essere accantonato. «I nostri fratelli vescovi su entrambi i lati del confine statunitense con il Messico — ricordano DiNardo e Vásquez — si oppongono e suggeriscono cambiamenti nella legislazione attuale perché rende più difficile ai richiedenti asilo e ai minori non accompagnati accedere alla protezione». Una posizione realistica che tiene anche conto, in maniera positiva, della recente proposta del presidente Trump sulle concessioni ai giovani del programma Daca, cioè agli immigrati arrivati bambini a seguito di genitori senza documenti. «Siamo incoraggiati — sottolineano i presuli — dall’apertura del presidente a fornire assistenza legislativa ai titolari di status di protezione temporanea e ai beneficiari del Daca. Tuttavia, comprendiamo che la proposta fornirebbe solo un temporaneo sollievo, lasciando molti in uno stato di continua vulnerabilità». In questo senso, i vescovi rinnovano in particolare la richiesta, che «abbiamo a lungo sostenuto», di una «riforma globale dell’immigrazione». Una riforma, viene evidenziato, che «fornirà soluzioni permanenti: compresa la sicurezza delle frontiere, la protezione dei minori non accompagnati vulnerabili e richiedenti asilo e un percorso definito per la cittadinanza per consentire ai nostri fratelli e sorelle immigrati di contribuire pienamente alla nostra società». Nella sostanza, sintetizzano i vescovi, «una legislazione che mostri compassione, che ci protegga e protegga i vulnerabili».
Un’argomentazione condivisa anche da numerose altre realtà ecclesiali statunitensi. Come nel caso citato della United Church of Christ, il cui responsabile ha appunto apertamente messo in guardia dai pericoli di una «crisi morale» che attanaglia il Paese. E, rifiutando le argomentazioni del presidente Trump a favore di una barriera al confine, ha inoltre commentato: «Crediamo nel Dio dell’abbondanza e non nel mito della scarsità e della xenofobia. Paure create ad arte sono sempre state un modo per giustificare la disumanizzazione di comunità emarginate». E ancora: «Non possiamo, come Paese, tradire i nostri valori fondamentali e mettere da parte i più vulnerabili. C’è accordo fra le forze politiche sul fatto che il nostro sistema immigratorio va regolamentato, ma un muro di confine non è la risposta».

L'Osservatore Romano, 23-24 gennaio 2019