Cosa fu il terrore rosso. L’esempio di Kiev - by Giacomo Foni

lavra kiev distruzioneL’omicidio del metropolita di Kiev Vladimir Bogojavlenskij, sconvolse l’opinione pubblica. Dall’indagine di uno storico ucraino, i contorni della nuova mentalità rivoluzionaria, per la quale fare giustizia significava non avere pietà.

«Sapete come conquisterò Kiev?
Prenderò degli anarchici, darò loro bombe e coltelli,
entreranno in città, di notte,
per sgozzare tutti e far saltare in aria tutto …».
(Michail Murav’ëv)

Quella del 7 febbraio 1918 è una data tristemente famosa per la Chiesa ortodossa: durante l’occupazione di Kiev da parte dell’Armata Rossa, un gruppo di soldati fa irruzione nella Lavra delle Grotte, attirato dalle voci su di un fantomatico tesoro che il metropolita Vladimir Bogojavlenskij nasconderebbe nella sua cella. Dopo aver perquisito a fondo l’abitazione dell’anziano vescovo, il gruppetto armato lo trascina fuori dalla Lavra e lo fredda a colpi di fucile, per poi darsi alla fuga. Il fatto, tempestivamente riportato dagli organi di stampa, provoca un vero e proprio shock nell’opinione pubblica, non solo per le modalità brutali dell’atto – l’esecuzione di un uomo anziano e indifeso, senza nemmeno la vaga parvenza di un processo preventivo, – ma anche perché è la prima volta che la «giustizia rivoluzionaria» colpisce un esponente dell’alta gerarchia ecclesiastica. In seguito purtroppo, episodi di questo tipo diventeranno cronaca corrente, e la repressione del clero in quanto classe sociale una pratica sistematica.

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