Preghiera della Chiesa ortodossa tewahedo etiopica alla Madonna

220px Icon etiopia FrontLeft SmallADDIS ABEBA, 17. Il patriarca Mathias e il santo sinodo della Chiesa ortodossa tewahedo etiopica hanno deciso di offrire i sedici giorni di digiuno e preghiera che precedono e seguono la solennità liturgica della dormizione della Madre di Dio all’invocazione del dono della pace e della riconciliazione a Jijiga e nella regione del Somali, dopo le violenze di carattere etnico che nei giorni scorsi sono esplose in quella parte dell’Etiopia, provocando circa trenta vittime.
Proprio la Chiesa ortodossa tewahedo (“unitaria”, “dell’unità”) etiopica ha pagato un alto prezzo alla spirale di violenza: secondo informazioni fornite dai media locali, almeno sette chiese ortodosse sono state assaltate e date alle fiamme, e fonti locali parlano di almeno sei sacerdoti e diversi fedeli uccisi. «Dopo la messa, prima della benedizione finale siamo soliti fare una processione con l’ostensorio intorno alla cappella nel terreno della missione, ma siamo rimasti bloccati da un incendio divampato in una chiesa ortodossa a cinquanta metri di distanza. Giovani armati di bastoni avanzavano verso di noi e hanno iniziato a lanciarci pietre»: è la drammatica testimonianza — rilasciata all’agenzia Fides — di monsignor Angelo Pagano, vicario apostolico di Harar, che si è trovato coinvolto a Jijiga nell’area degli scontri. «Tolti i paramenti sacri — prosegue il presule cattolico — insieme a un anziano del villaggio siamo andati a vedere cosa stesse accadendo. Siamo riusciti a parlare con alcuni giovani che comunque ci intimavano di andare via. Rientrando ci siamo imbattuti in un sacerdote che purtroppo era già morto e in un altro rimasto ferito che siamo riusciti a portare nel nostro compound. Siamo rimasti sotto assedio circa sei ore, nonostante avessimo chiamato la polizia nessuno si è visto. Siamo riusciti a fare partire un po’ di gente a bordo di auto; una è stata attaccata e colpita con armi da fuoco ma senza feriti». Il vicario apostolico di Harar spiega che solo il giorno seguente «abbiamo realizzato che in sette-otto punti del nostro territorio sono state bruciate una decina di chiese ortodosse, uccisi sacerdoti, diaconi e gente che svolgeva varie mansioni nelle chiese». Successivamente, aggiunge, «abbiamo saputo che anche la nostra nuova cappella è stata distrutta; non hanno potuto darle fuoco in quanto fatta di mattoni, ma hanno danneggiato tutto quanto non siamo riusciti a portare via, immagini sacre, crocifisso, generatori». La missione cattolica ha comunque potuto dare riparo e assistenza a cinquecento persone. «Grazie alla collaborazione di tutti e dei cinque sacerdoti del nostro vicariato, insieme agli ortodossi — ha riferito ancora monsignor Pagano — siamo riusciti a sfamare tutti sentendoci una famiglia». Gli scontri, secondo la ricostruzione, sono iniziati quando uomini armati delle milizie Liyu, di etnia somala, hanno tentato di interrompere un incontro fra i membri del parlamento regionale e rappresentanti della popolazione della città di Dire Daua, intenzionati a denunciare la violazione dei diritti umani nella regione. Gli episodi di violenza hanno provocato l’intervento dell’esercito etiope, che ha schierato le sue truppe anche intorno alle sedi istituzionali. Da tempo la regione del Somali appare instabile. Il primo ministro Abyi Ahmed ha voluto compiere proprio in quell’area la sua prima visita dopo l’insediamento all’inizio di aprile. Al momento più di ventimila etiopi sfollati vengono sostentati e assistiti dalle parrocchie ortodosse di Jijiga.

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