Iraq: al via il “Centro della speranza” in aiuto dei cristiani sfollati

bambini iraqSei anni fa, il sedicente Stato islamico costringeva i cristiani a fuggire dalla piana di Ninive. Ora l’organizzazione “Open Doors” apre un “Centro della speranza” per aiutare gli sfollati a tornare a casa

Isabella Piro – Città del Vaticano

L’agosto del 2014 è un mese che i cristiani iracheni difficilmente dimenticheranno. Nella notte tra il 6 e il 7 agosto di sei anni fa, infatti, circa 120mila tra loro scapparono dalla piana di Ninive, costretti alla fuga dai miliziani del sedicente Stato islamico. 13mila abitazioni vennero colpite, più di mille finirono totalmente distrutte, mentre i cristiani cercarono riparo altrove. Due anni più tardi, la Piana di Ninive venne liberata dall’occupazione jihadista e i fedeli cominciarono a rientrare in patria. Ad oggi, però, solo una parte della popolazione cristiana è tornata a casa ed i numeri lo dimostrano: se prima della guerra del 2003, i cristiani in Iraq erano un milione e mezzo, oggi sono circa 200mila. Per questo, “Open Doors (Porte Aperte)”, l’organizzazione non-profit che sostiene i cristiani perseguitati a causa della fede in più di 60 Paesi nel mondo, ha lanciato un "Centro della speranza", così da permettere alle famiglie cristiane fuggite nel 2014 di fare ritorno a Mosul e nella vicina città di Alqosh.

“I cristiani appartengono a Mosul”

L’iniziativa di “Open Doors” è raccontata dal numero settimanale del Bollettino sulle persone vulnerabili e fragili in movimento in epoca di Covid-19, a cura della Sezione per i migranti e i rifugiati del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale. Tutto è partito da un gesto compiuto da un’associazione di volontariato locale: la rimozione di un cumulo di macerie dall’interno di una chiesa. Un gesto semplice, ma ricco di significato, come spiega Mohammed Essam, uno dei fondatori dell’organismo: “È un messaggio per i cristiani, affinché ritornino. Loro appartengono a Mosul”. Testimone diretto delle violenze perpetrate contro i cristiani iracheni, Essam ha visto con i suoi occhi le case messe a soqquadro e le chiese saccheggiate. Ma ha deciso di reagire: insieme ai suoi collaboratori, si è rimboccato le maniche per distribuire cibo e raccogliere fondi, così da ricostruire le abitazioni degli sfollati cristiani. “Mosul è anche la loro città”, sottolinea.

Cosa fa il “Centro della speranza”

Il “Centro della speranza”, avviato all’inizio di dicembre, è un edificio annesso a una chiesa locale, che lavora per ricostruire case offrendo fondi economici e manodopera; rafforzare la comunità cristiana avviando progetti di sviluppo socio-economico nonché didattici per le scuole; infine, favorire un nuovo slancio spirituale attraverso la formazione biblica per giovani e adulti. Un supporto importante arriva anche dalla preghiera: “Pregate che Dio doni alle famiglie cristiane la pazienza di tenere duro nella loro terra – chiede “Open Doors” ai fedeli - Pregate per i giovani dell’Iraq affinché rimangano forti nelle loro difficoltà e siano luce e sale di questo Paese; pregate per i ministri e leader iracheni, così che il loro esempio possa promuovere la pace, l’unità della Chiesa e lo sviluppo della nazione”. “Vogliamo fare la differenza nella vita dei cristiani iracheni così che, incoraggiati e uniti, partecipino alla ricostruzione del loro Paese”, spiega ancora l’organizzazione no-profit.

Le ricadute della pandemia sugli sfollati

Su tutto, predomina la volontà di alleviare la sofferenza della comunità cristiana, anche nel difficile contesto provocato dalla pandemia da Covid-19. In Iraq, infatti, l’emergenza sanitaria da coronavirus ha fatto registrare, ad oggi, 587mila casi in totale, con quasi 13mila decessi. “Tutte le persone hanno pari diritto di lavorare, di mettere a frutto i loro talenti e di guadagnarsi da vivere – si legge inoltre sul Bollettino del Dicastero - Da un lato, la diffusione del coronavirus ha accentuato le disuguaglianze sociali e reso i più deboli ancora più vulnerabili; dall'altro, essa ha messo in luce l'importante ruolo degli sfollati nella nostra economia e società”. Di qui, il richiamo a “fornire opportunità ai più vulnerabili, perché possano realizzare il proprio potenziale e contribuire, così, al bene della società”.

L’appello del Papa

Su questo punto si è soffermato recentemente Papa Francesco, nel videomessaggio rivolto, il 10 dicembre, ai partecipanti all’incontro on line, promosso dal Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, sulla crisi umanitaria in Siria e in Iraq.  “Ricordo i cristiani costretti ad abbandonare i luoghi dove sono nati e cresciuti, dove si è sviluppata e arricchita la loro fede – ha detto il Pontefice - Bisogna fare in modo che la presenza cristiana, in queste terre, continui ad essere ciò che è sempre stata: un segno di pace, di progresso, di sviluppo e di riconciliazione tra le persone e i popoli”. Parole di incoraggiamento e di speranza che preannunciano il viaggio che Francesco compirà in terra irachena dal 5 all’8 marzo 2021 , visitando Bagdad, la piana di Ur, legata alla memoria di Abramo, la città di Erbil, così come Mosul e Qaraqosh nella piana di Ninive.

A marzo 2021, Francesco in Iraq

“La visita pastorale del Papa - ha detto il Cardinale Fernando Filoni, già prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli ed oggi Gran Maestro dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme - sarà un’iniezione di incoraggiamento, perché l’Iraq divenga un Paese di civile e rispettosa convivenza. Ricostruire la fiducia è fondamentale”. “È necessario – ha aggiunto - che i cristiani, rinvigoriti nella fede, non debbano comportarsi come una minoranza che si affanna a raggiungere la storia che apparentemente li ha lasciati indietro, ma devono ripartire dal concetto di patria comune, di cittadinanza senza connotazioni e dalla Carta dei diritti dell’uomo, dal bene collettivo e da una organizzazione moderna e razionale”. Intanto, il Parlamento iracheno ha deciso all’unanimità che, da quest’anno, il Natale sarà un giorno festivo per tutto il Paese. E anche questo è un gesto di speranza.  

Per i precedenti numeri di questo Bollettino, visitare il sito: migrants-refugees.va/it/bollettino-c-19

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