Le conversazioni domenicali di padre Šmeman
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- Creato: 01 Luglio 2013
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Andrea Frigerio -
A partire dal 1953, nella terra dell’ateismo elevato a sistema, l’Unione Sovietica, esisteva una «chiesa» del tutto particolare, alla quale anche un personaggio come lo scrittore Aleksandr Solženicyn era personalmente e inscindibilmente legato, e che non poteva essere perseguita dal potere comunista. Si tratta delle «Conversazioni domenicali», tenute a Radio Liberty, negli Stati Uniti, da un sacerdote ortodosso, padre Aleksandr Šmeman.
Šmeman era nato nel 1921 da una famiglia russa con ascendenti tedeschi, ma ben presto aveva dovuto lasciare la Russia per gli eventi rivoluzionari, trascorrendo la giovinezza a Parigi, ma ricevendo ugualmente un’educazione di stampo russo tradizionale, centrata sull’ortodossia. Dopo avere studiato all’Istituto di teologia ortodossa di Parigi, sposò Ul’jana Osorgina, da cui ebbe poi tre figli, e ricevette l’ordinazione sacerdotale nel 1946, prima di trasferirsi con la famiglia nel 1951 a New York per insegnare al seminario teologico ortodosso san Vladimir. Qui, nel ’53, ebbero inizio le sue «Conversazioni», che continuarono fino alla sua morte, avvenuta nel 1983, e che venivano ascoltate nel suo Paese di origine, l’URSS. Alcune di esse sono state raccolte in due volumi pubblicati in lingua russa nel 2008 e 2009, e dai quali è stata tratta un’antologia tradotta in italiano nel 2012: I passi della fede. Conversazioni domenicali, edito da La Casa di Matriona (a cura di G. Parravicini, della Fondazione Russia Cristiana).
Da queste brevi prediche di padre Šmeman, che ripercorrono e commentano l’andamento dell’anno liturgico e le feste religiose principali, si evince una concezione della fede molto vicina all’esperienza viva del soggetto storico. La domanda che più ricorre, e che Šmeman rivolge agli ascoltatori, è: cosa c’entrano le vicende evangeliche, accadute 2.000 anni fa, con la nostra esperienza attuale, con le nostre esigenze? Come cambia la nostra vita in relazione ad esse?
L’autore si guarda bene dal dare risposte di stampo moralistico, ben sapendo di rivolgersi a uomini e donne soverchiati da un potere oppressivo, che poco conforto avrebbero trovato nel sentirsi dare altre «leggi» astratte per la vita personale e in comune. La chiave della proposta di Šmeman sta invece nel proclamare con forza e ragionevolezza la tensione naturale della vita umana verso un significato ideale, «extra-storico», e l’essenza dell’uomo come rapporto costante con Dio, anche nelle circostanze più avverse. Da qui, il riscoprire il valore e l’importanza del Vangelo e delle feste liturgiche, come passi del cammino individuale e personale verso il compimento di sé.
L’altro grande caposaldo della predicazione di Šmeman è il fatto che la vita cristiana sia realmente più bella, più compiuta, rispetto ad un’altra vissuta dimenticando queste domande; nella spiritualità ortodossa, questo è legato al concetto di «trasfigurazione»: il cristiano è colui che vede le cose «trasfigurate», ossia connesse al loro significato ultimo, e da questo sguardo nuovo dipende un’esistenza anch’essa trasfigurata. Come disse san Pietro sul monte Tabor: “è bello per noi essere qui!”.
La fede, dunque, ha una stretta correlazione esistenziale con il soggetto singolo; per questo motivo, la persona non vi si deve accostare in maniera «esterna», ossia esigendo una dimostrazione razionale-matematica dei dogmi e delle verità evangeliche; deve bensì approcciare queste domande «dall’interno», che è, secondo le parole di Šmeman, “il metodo che usiamo nella nostra vita reale, non astratta. Proprio questo è il metodo di cui viviamo. Ad esempio, quando amiamo una persona scopriamo in essa ciò che non riesce a vedere chi invece non la ama (…), la sua essenza interiore”. Per conoscere Gesù, dunque, bisogna amarlo, e amare le domande a cui solo Lui è risposta.
© www.lanuovabq.it - 1 luglio 2013
A partire dal 1953, nella terra dell’ateismo elevato a sistema, l’Unione Sovietica, esisteva una «chiesa» del tutto particolare, alla quale anche un personaggio come lo scrittore Aleksandr Solženicyn era personalmente e inscindibilmente legato, e che non poteva essere perseguita dal potere comunista. Si tratta delle «Conversazioni domenicali», tenute a Radio Liberty, negli Stati Uniti, da un sacerdote ortodosso, padre Aleksandr Šmeman.
Šmeman era nato nel 1921 da una famiglia russa con ascendenti tedeschi, ma ben presto aveva dovuto lasciare la Russia per gli eventi rivoluzionari, trascorrendo la giovinezza a Parigi, ma ricevendo ugualmente un’educazione di stampo russo tradizionale, centrata sull’ortodossia. Dopo avere studiato all’Istituto di teologia ortodossa di Parigi, sposò Ul’jana Osorgina, da cui ebbe poi tre figli, e ricevette l’ordinazione sacerdotale nel 1946, prima di trasferirsi con la famiglia nel 1951 a New York per insegnare al seminario teologico ortodosso san Vladimir. Qui, nel ’53, ebbero inizio le sue «Conversazioni», che continuarono fino alla sua morte, avvenuta nel 1983, e che venivano ascoltate nel suo Paese di origine, l’URSS. Alcune di esse sono state raccolte in due volumi pubblicati in lingua russa nel 2008 e 2009, e dai quali è stata tratta un’antologia tradotta in italiano nel 2012: I passi della fede. Conversazioni domenicali, edito da La Casa di Matriona (a cura di G. Parravicini, della Fondazione Russia Cristiana).
Da queste brevi prediche di padre Šmeman, che ripercorrono e commentano l’andamento dell’anno liturgico e le feste religiose principali, si evince una concezione della fede molto vicina all’esperienza viva del soggetto storico. La domanda che più ricorre, e che Šmeman rivolge agli ascoltatori, è: cosa c’entrano le vicende evangeliche, accadute 2.000 anni fa, con la nostra esperienza attuale, con le nostre esigenze? Come cambia la nostra vita in relazione ad esse?
L’autore si guarda bene dal dare risposte di stampo moralistico, ben sapendo di rivolgersi a uomini e donne soverchiati da un potere oppressivo, che poco conforto avrebbero trovato nel sentirsi dare altre «leggi» astratte per la vita personale e in comune. La chiave della proposta di Šmeman sta invece nel proclamare con forza e ragionevolezza la tensione naturale della vita umana verso un significato ideale, «extra-storico», e l’essenza dell’uomo come rapporto costante con Dio, anche nelle circostanze più avverse. Da qui, il riscoprire il valore e l’importanza del Vangelo e delle feste liturgiche, come passi del cammino individuale e personale verso il compimento di sé.
L’altro grande caposaldo della predicazione di Šmeman è il fatto che la vita cristiana sia realmente più bella, più compiuta, rispetto ad un’altra vissuta dimenticando queste domande; nella spiritualità ortodossa, questo è legato al concetto di «trasfigurazione»: il cristiano è colui che vede le cose «trasfigurate», ossia connesse al loro significato ultimo, e da questo sguardo nuovo dipende un’esistenza anch’essa trasfigurata. Come disse san Pietro sul monte Tabor: “è bello per noi essere qui!”.
La fede, dunque, ha una stretta correlazione esistenziale con il soggetto singolo; per questo motivo, la persona non vi si deve accostare in maniera «esterna», ossia esigendo una dimostrazione razionale-matematica dei dogmi e delle verità evangeliche; deve bensì approcciare queste domande «dall’interno», che è, secondo le parole di Šmeman, “il metodo che usiamo nella nostra vita reale, non astratta. Proprio questo è il metodo di cui viviamo. Ad esempio, quando amiamo una persona scopriamo in essa ciò che non riesce a vedere chi invece non la ama (…), la sua essenza interiore”. Per conoscere Gesù, dunque, bisogna amarlo, e amare le domande a cui solo Lui è risposta.
© www.lanuovabq.it - 1 luglio 2013